Osannate o bistrattate, le ditte impegnate nel recupero dei relitti a Rapallo sono sempre al centro delle discussioni di chi rimane fuori dal mare
by Niccolò Volpati – photo by Andrea Muscatello
I lavori di recupero dei relitti vanno a rilento? Colpa delle ditte incaricate di far pulizia. I costi di rimozione e smaltimento sono troppo alti? Sempre colpa loro. A Rapallo, come è facile immaginarsi, in molti hanno una ricetta per tornare alla normalità. Ognuno ha la soluzione in tasca e, di conseguenza, un colpevole per i ritardi. Spesso, raccogliendo le testimonianze tra banchina e lungomare è un “tutti contro tutti”.
Gli unici in grado di mettere d’accordo gli osservatori dei cantieri sono le ditte che si occupano di rimuovere i relitti. Non nel senso che sono apprezzate, ma al contrario, perché in un modo o nell’altro, vengono ritenute responsabili di un lavoro che sta procedendo più lentamente di come si vorrebbe.
“Siamo due mondi differenti- afferma Massimo Garbarino di Visond – Chi ci critica non prende in considerazione l’aspetto tecnico forse perché non lo conosce”. Che cos’è Visond? Una rete di imprese. Si sono associati per riuscire a offrire un servizio completo di rimozione dei tanti relitti che si trovano sul fondo e sulla spiaggia di Rapallo.
Ne fanno parte la Giuseppe Santoro Srl, Oromare Spa, Drafinsub Srl, Italsub e Tito Neri Srl. Ci sono i sommozzatori, i pontoni e le gru. In teoria un armatore o un’assicurazione che deve rimuovere un relitto può affidarsi a chi vuole. La scelta di queste aziende di creare Visond però è stata apprezzata, soprattutto all’inizio, per mettere un po’ d’ordine. Sarebbe stato ancor più complicato se per ogni relitto ci fosse stata un’azienda diversa incaricata del recupero, magari con il suo pontone. E oggi, se vuoi usare i pontoni di Oromare ti devi affidare a Visond.
Qualcuno ha mugugnato e ha sostenuto che questo gruppo di aziende hanno fatto cartello per aumentare i prezzi. “C’è poco da fare cartello, dichiara Massimo Garbarino, attualmente siamo impegnati sui relitti più complessi. Tutti quelli di barche più piccole, più facili, dove ci si poteva guadagnare di più, le stanno facendo altre ditte”.
E a dimostrazione della sua tesi, mi fa notare che delle dodici barche ancora spiaggiate sul lungomare, due non verranno rimosse da loro. “Non c’è nessun monopolio, chi vuole può rivolgersi altrove – prosegue – questa storia del cartello è una bufala per coprire altre difficoltà”.
Tecnicamente il lavoro non è facile. Tra i sommozzatori c’è chi è stato impiegato al recupero della Costa Concordia all’Isola del Giglio come Raffaele Bordoni. “Qui a Rapallo, per certi aspetti, è perfino più difficile, afferma. C’è pochissimo fondale, devi sempre dragare e se il mare diventa mosso devi dragare di nuovo. Tutto quello che tiri fuori dall’acqua è un rifiuto speciale e la visibilità è quasi a zero”.
Difficile prevedere quanto ci vuole a rimuovere un relitto. Uno dei più impegnativi è stato certamente il Suegno di Pier Silvio Berlusconi che era adagiato su un lato quasi a poche decine di metri dalla costa. Per arrivarci hanno dovuto scavare perché c’era un fondale di 1,5 metri, ma ne servivano almeno tre. Poi hanno scavato dei tunnel sotto lo scafo per far passare le fasce. Infine, hanno proceduto un po’ come fu fatto per la Concordia. Lo yacht, infatti, è stato raddrizzato, poi portato in superficie e infine caricato su una chiatta che lo ha trasportato a Genova dove verrà definitivamente demolito e smaltito.
E’ stata un’operazione complessa. Più lunga del previsto che ha provocato molta irritazione, in primis al Sindaco Carlo Bagnasco che ha persino minacciato di revocare l’incarico a Visond. “Non so a cosa si riferisca, afferma Massimo Garbarino, noi l’incarico l’abbiamo ricevuto dai privati, armatori o assicurazioni, con i quali abbiamo stipulato un contratto per la rimozione e l’unica autorità a cui dobbiamo rispondere è l’Autorità Marittima che sovraintende a tutte le operazioni”.
Non basta, infatti, che l’armatore e la Visond si accordino sul prezzo e firmino un contratto, ma servono le autorizzazioni della Capitaneria di Porto. “Se il Suegno fosse venuto via quindici giorni prima ero molto più felice, dice Garbarino. Non mi diverto a spalare fango a mano”. E sì perché dalle 200 tonnellate di peso nominale che aveva lo yacht si è arrivati a quasi 400 con tutto il fango e i detriti che si trovavano all’interno. “I due pontoni hanno un tiro di 300 tonnellate e non riuscivamo nemmeno a portarla a galla”, ricorda Garbarino.
Una volta riusciti, la barca ha dovuto stazionare per alcuni giorni all’interno del Carlo Riva dove sono stati impiegati due auto spurghi e quattro squadre di persone che a mano hanno tolto il fango dall’interno. In sentina c’era anche dell’olio che si era rovesciato e quindi c’è stata un’attenzione particolare per evitare di far danni maggiori per l’inquinamento di quanto ne siano già stati fatti. Il lavoro non è semplice e il poco fondale e la scarsa visibilità non aiutano.
E’ successo, su un altro relitto, che quando si sono messi a scavare i tunnel sotto lo scafo per far passare le fasce dei pontoni, le due gallerie non si siano incontrate. Potrebbe sembrare un errore banale, quasi da sprovveduti, ma non è così. Le barche affondate sono adagiate su un lato e questo, di solito, è completamente sommerso da fango e detriti. Non è facile stabilire l’esatto punto in cui scavare in modo che i due tunnel s’incontrino a metà. Non è come fare una galleria in una montagna.
Ma non ci sono difficoltà tecniche per gli yacht più grandi, ma anche per le barche di dimensioni più piccole. “Nella zona dei pescherecci sul fondale è pieno di reti”, aggiunge Raffaele Bordoni di Italsub, e prima di raggiungere il relitto vero e proprio, dobbiamo rimuovere molti detriti”.
Un altro sommozzatore mi spiega che pochi giorni dopo la mareggiata era stato incaricato da un armatore di lavorare al recupero della sua piccola barca in legno. Sopra di essa però c’erano dei pezzi di vetroresina, certamente appartenenti a qualche altro scafo andato distrutto. L’armatore quindi non ha voluto procedere in fretta anche perché avrebbe dovuto poi farsi carico dei costi di smaltimento della vetroresina di qualcun altro.
“Sono tutti bravi a dare consigli, afferma Raffaele Bordoni, ma se avessero voluto fare più in fretta potevano obbligare gli armatori o le assicurazioni a non tergiversare”. C’è stata una diffida per un ipotetico danno ambientale. E’ stato un modo per intimare agli armatori e alle assicurazioni di procedere celermente. Poi le autorità hanno deciso di non calcare la mano, anche perché gli armatori avevano già subito il danno della perdita dell’imbarcazione e non è sembrato opportuno fargli pervenire anche una denuncia penale per danno ambientale.
Più delle difficoltà tecniche, infatti, i sommozzatori, lamentano quelle burocratiche. Gli avvocati sono gli unici che si arricchiscono veramente, mi ripetono in molti. “Le faccio l’esempio del recupero di Utopia, mi racconta Massimo Garbarino di Visond. Si trattava di un lavoro complesso perché era una barca di 38 metri in ferro. Ho fatto il preventivo e l’hanno accettato. Poi sono arrivati gli avvocati dalla Svizzera e mi hanno detto che l’assicurazione voleva solo un paio di piccole correzioni al testo dell’accordo. Le due piccole correzioni erano 32 pagine scritte in “avvocatese”. La conseguenza è stata che anch’io, prima di iniziare il lavoro, ho dovuto far studiare quelle 32 pagine a un legale di mia fiducia. E, insomma, alla fine ce l’abbiamo fatta a metterci d’accordo, ma c’è voluto più tempo di quanto si poteva immaginare all’inizio”.
La particolarità di questa situazione è che gli armatori o le assicurazioni, nel caso in cui l’armatore avesse una polizza che copriva questo genere di danno, sono responsabili della rimozione e dello smaltimento. L’Autorità Marittima è responsabile di come avvengono le operazioni di recupero.
Il Sindaco e chi vive di turismo ha una gran fretta di tornare alla normalità. Almeno per quel che si vede fuori dall’acqua, nella speranza che la stagione estiva ormai alle porte, non sia del tutto compromessa. C’è una complessa commistione tra ruoli e responsabilità pubbliche e trattative private come quelle tra armatori e ditte incaricate del recupero. In molti, a Rapallo, fanno notare che quando c’è un terremoto, interviene la protezione civile. Non viene chiesto a un terremotato di rimuovere le macerie della propria casa distrutta.
(La ricostruzione di Rapallo: il punto di vista di chi lavora sott’acqua – Barchemagazine.com – Aprile 2019)