Cambia il mondo, cambia il clima e cambiano anche i porti turistici? Ne abbiamo parlato con due ingegneri che ne progettano molti
by Niccolò Volpati
La prima volta che arrivai a Fuerteventura, alle Canarie (nella foto di apertura qui sopra), cercai un bar dove andare a bere qualcosa. Era sera, poco prima di cena, ma con mio sommo stupore, stavano tutti abbassando le serrande. Notai che qualcuno stava addirittura ammassando sacchi di sabbia all’ingresso del suo locale. Come mai, chiesi? Un barista mi spiegò che il meteo aveva previsto l’arrivo di una super mareggiata.
Dall’ultima volta, la diga del porto era stata alzata di altri cinque metri, proprio perché quella esistente non aveva retto l’urto con le onde dell’Atlantico. La nuova diga era alta più di dieci metri, ma comunque, “meglio esser prudenti”, mi disse il barista. Anche in Italia, negli ultimi anni abbiamo assistito a fenomeni fuori dal comune. La super mareggiata che si è abbattuta su Rapallo distruggendo la diga foranea del Carlo Riva un anno e mezzo fa, è solo una delle tante. In Tirreno, come in Adriatico, la forza delle onde sembra sempre maggiore, lo confermano le cronache di questi ultimi mesi.
Che fare? Come si possono attrezzare i porti turistici per evitare danni ingenti o addirittura la distruzione del marina? La domanda l’abbiamo rivolta a due esperti, due ingegneri che hanno progettato e seguito la costruzione di moltissimi porti turistici in Italia: Paolo Viola e Franco Grimaldi. «Di solito si fanno le previsioni prendendo in considerazione i fenomeni degli ultimi cento anni e poi si prende come parametro quelli più intensi», afferma Paolo Viola.
Il problema è che questa raccomandazione non è un obbligo di legge, ma il fatto che sia presa in considerazione è lasciato al senso di responsabilità di chi realizza il progetto. «Non mi risulta che ci sia un obbligo di tenere in considerazione eventi straordinari e mareggiate, ma comunque lo si fa», dichiara Franco Grimaldi.
È ovvio ed è logico che si prendano in considerazione i dati più recenti, ma non dimentichiamoci che una concessione demaniale marittima può durare anche decine di anni. È difficile far previsioni a breve termine, figuriamoci a cinquant’anni di distanza. Vero è che la Conferenza Servizi che valuta il progetto di un nuovo porto turistico e il rifacimento di uno esistente dovrebbe avere tutte le competenze per considerare la bontà di un progetto, ma è bene non dimenticarsi che la riforma costituzionale del Titolo V ha passato le deleghe sul demanio marittimo alle Regioni e di conseguenza ai Comuni. In sostanza, è possibile che sia un piccolo Comune a rilasciare la concessione per un nuovo porto o per il ripristino di una diga foranea.
Non sarebbe meglio che la valutazione di possibili mareggiate diventi un obbligo di legge che la Conferenza Servizi deve prendere in considerazione? «È una proposta saggia – afferma l’ingegner Viola – e non escludo che qualcuno in sede governativa ci stia pensando. Molti, purtroppo non sono consapevoli dei cambiamenti climatici in corso. Oltre allo studio della forza delle onde, si deve prendere in esame l’innalzamento delle acque conseguente al surriscaldamento globale e allo scioglimento dei ghiacci». Continua l’ingegner Grimaldi: «Oggi esistono degli studi molto affidabili che si basano su modelli matematici, simulazioni, ma anche sull’osservazione dei fenomeni. È possibile fare previsioni precise sull’area dove dovrà sorgere un porto turistico, perché è ovvio che le situazioni possono essere molto differenti da un punto all’altro della costa, ancorché limitrofi».
I primi porti turistici in Italia sono stati costruiti circa 50 anni fa. Diverse concessioni stanno per scadere e questo appuntamento rappresenta un’opportunità. Prima di valutare il rinnovo, o una nuova concessione, i Comuni nel quale sorge il marina, potrebbero chiedere una verifica delle dighe foranee. Sono ancora adatte? Sono in grado di resistere alla forza delle onde? «I materiali per le opere di difesa – spiega ancora Franco Grimaldi – sono sempre gli stessi: calcestruzzi o massi naturali di cava. Quelli naturali sono più difficili da reperire e più costosi proprio perché vanno estratti dalle cave e trasportati lì dove si sta costruendo la diga. Quelli artificiali fatti con il calcestruzzo si possono realizzare in loco, ma sono sicuramente più brutti da vedere. Di solito si usano per le dighe dei porti commerciali, mentre quelli naturali sono più indicati per una marina che sorge in una località nella quale si intende preservare anche l’impatto ambientale».
Infine, per capire se e come la diga foranea di un porto turistico possa proteggere anche il lungomare della cittadina in cui sorge, la risposta ce la dà Paolo Viola: «Per proteggere la costa dalle mareggiate non basta alzare o allungare la diga di un porto. Si devono prevedere delle dighe, anche molto basse, da collocare davanti al lungomare, in modo da spezzare le onde. Il Lungomare Caracciolo di Napoli ne è un esempio. È così da molti anni e infatti non ha subito devastazioni. Certo questo può impattare sulla balneazione. Perciò si dovrebbe ragionare sempre di più in sinergia, per cercare di soddisfare le esigenze di un privato che realizza un porto, degli amministratori che intendono preservare la costa dalle mareggiate e dei cittadini che non intendono rinunciare alla balneazione. Si tratta di trovare un compromesso tra tutte queste esigenze, ma con qualche rinuncia è possibile».
(Porti turistici, una diga ci proteggerà – Barchemagazine.com – Marzo 2020)