Sarebbe auspicabile un ripensamento del regime sanzionatorio, alla luce dei principi europei di proporzionalità delle sanzioni sui reati legati all’ammissione temporanea con relativo contrabbando di yacht
by Federico Santini*
In passato abbiamo analizzato il regime di temporanea importazione di yacht da diporto extra-UE in Italia sottolineando l’estrema importanza per gli armatori di rispettare il termine di appuramento di 18 mesi di permanenza nelle acque comunitarie. Abbiamo infatti chiarito che, se entro il termine di appuramento l’unità da diporto non è trasferita fuori del territorio doganale o il mezzo di trasporto non è vincolato a un altro regime doganale, l’armatore si rende responsabile di contrabbando (cd. contrabbando extra-ispettivo) punito come reato dall’articolo 292 del D.P.R. 43/1972 come modificato dal Decreto Legislativo n. 75/2020 (Testo Unico Legge Doganale o TULD) quando i diritti di confine evasi sono superiori a euro 10.000. Pertanto, chi si rende responsabile di tale violazione, sarà sottoposto a procedimento penale per contrabbando e, laddove giudicato colpevole, sarà condannato ad una pena pecuniaria che va da un minimo di 2 ad un massimo di 10 volte l’IVA evasa, alla quale si aggiunge, nell’ipotesi in cui l’IVA evasa superi l’importo di € 100.000, la pena della reclusione fino a 3 anni. A tali sanzioni, già di per sé molto severe, si aggiunge come sanzione accessoria la confisca obbligatoria dello yacht, per effetto della quale l’armatore perde la proprietà dello yacht che viene acquisito al patrimonio dello Stato per essere rivenduto all’asta.

Se entro il termine di appuramento l’unità da diporto non è trasferita fuori del territorio doganale o il mezzo di trasporto non è vincolato a un altro regime doganale, l’armatore si rende responsabile di contrabbando quando i diritti di confine evasi sono superiori a euro 10.000.
L’art. 301, comma 1, del TULD prevede che “nei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto”. A giudizio di chi scrive, la confisca appare una sanzione del tutto sproporzionata rispetto alla gravità della violazione. In quanto sanzione accessoria che si va ad aggiungere alla sanzione pecuniaria sopra citata e, nei casi più gravi, alla reclusione in carcere, dubitiamo che la confisca dello yacht possa rientrare complessivamente nei ranghi del principio di proporzionalità delle sanzioni, stabilito espressamente sia a livello interno sia comunitario. Innanzitutto, occorre richiamare, in primis, l’art. 49 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) che stabilisce che “le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.

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IL REGIME DELLA CONFISCA OBBLIGATORIA DELLO YACHT AGGIUNTA ALLA SANZIONE PRINCIPALE PER IL REATO APPARE AMPIAMENTE SPROPORZIONATA A FRONTE DI UNA VIOLAZIONE COMMESSA IL PIÙ DELLE VOLTE SENZA DOLO ED IN OGNI CASO SENZA MAI VIOLENZA.
È ormai notorio che, dal punto di vista garantistico, sia la Corte EDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) sia la Corte di Giustizia Europea abbiano adottato una nozione ampia di reato, affermando che la valutazione della natura penale dei procedimenti e sanzioni deve avvenire alla luce di tre criteri, quali la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, la natura dell’illecito e, infine, il grado di severità della sanzione (cfr. causa C-537/2016, 20.03.2018, Garlsson Real Estate e a). Pertanto, la sanzione da applicare non può eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi prefissati (sul punto, cfr. anche C. Cost., 23.10.2019, n. 222 in cui si è affermato che “il risultato sanzionatorio complessivo, risultante dal cumulo della sanzione amministrativa e della pena, per essere legittimo non deve risultare eccessivamente afflittivo per l’interessato, in rapporto alla gravità dell’illecito”) e, al fine di valutare la conformità delle sanzioni al principio di proporzionalità “occorre tener presente, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa” (causa C-384/201, 04.10.2018, Link Logistik N&N).

Ancora, sempre a livello sovrannazionale, l’art. 42 par. 1 CEDU stabilisce espressamente che le sanzioni “devono essere effettive, proporzionate e dissuasive”, mentre, a livello interno, l’art. 7 del d. lgs. n. 472/1997 prevede che “nella determinazione della sanzione si ha riguardo alla gravità della sanzione violata”, così come analogamente dispone l’art. 11 della l. n. 689/1981. Date queste coordinate normative, il regime della confisca obbligatoria dello yacht aggiunta alla sanzione principale per il reato (sanzione pecuniaria da 2 a 10 volte l’IVA evasa oltre che, nel caso in cui l’IVA evasa superi € 100.000, reclusione fino a 3 anni) appare ampiamente sproporzionata in termini di eccessiva afflittività della sanzione complessivamente irroganda, a fronte di una violazione commessa il più delle volte senza dolo ed in ogni caso senza mai violenza. Se la confisca si giustificava storicamente e si giustifica ancora oggi con riferimento ad ipotesi dolose di contrabbando di beni di per sé illeciti e/o illecitamente introdotti nel territorio nazionale, essa risulta eccessivamente ed irragionevolmente punitiva con riferimento ad uno yacht che permanga in acque comunitarie oltre il termine di 18 mesi. Sarebbe quindi auspicabile un ripensamento del regime sanzionatorio alla luce dei principi europei di proporzionalità delle sanzioni.
(Pene sproporzionate – Barchemagazine.com – Agosto 2023)