Maurizio Saletti, fuoribordo, mon amour

Recuperare, restaurare e rimettere in funzione i motori abbandonati e destinati alla discarica. La passione per i vecchi fuoribordo è anche l’occasione per raccontare la storia della nautica

by Niccolò Volpati – photo by Andrea Muscatello

Maurizio, nei primi anni ’70, era un bambino come tanti altri: amava giocare a pallone con gli amici e aveva la passione delle motociclette. Quello che lo differenziava era il contesto. Sotto la finestra della sua cucina scorreva l’acqua di un canale. Maurizio, infatti, insieme ai genitori, il babbo di Siena e la mamma napoletana, viveva a Venezia, nel sestiere Dorsoduro per la precisione. Dalla finestra non solo vedeva l’acqua, ma poteva salire a bordo di una piccola barca. La prima che ha avuto sotto mano dall’età di dieci anni era motorizzata con un fuoribordo Ducati da 5 cavalli. Ci andava in giro, attraversava anche il Canal Grande e a volte, con gli amici, dopo la scuola, arrivavano sul lato esterno della Giudecca e si mettevano a pescare i cefali. Si dice che i veneziani navighino su qualsiasi cosa. Non serve che lo scafo sia particolarmente attraente e ben curato. Basta avere un guscio che galleggi, attaccarci un motore e si inizia a navigare per la laguna.

La passione di Maurizio sono i motori, i fuoribordo nello specifico. E forse questa ha molto a che fare con il contesto in cui è cresciuto. E non solo perché a Venezia, a parte le proprie gambe, l’unico mezzo di trasporto utilizzabile è una barca, ma anche perché è forse la città al mondo più uguale a sé stessa nel tempo. A nessuno verrebbe in mente, per fortuna, di abbattere uno dei palazzi che si affacciano sui canali per costruirne uno moderno. 

NEGLI ANNI ’50 E ’60 SONO NUMEROSE LE AZIENDE ITALIANE CHE SI SONO DEDICATE ALLA PRODUZIONE DI PICCOLI FUORIBORDO: MAC, CRISTIANI, FRANCHI E POI LE PIÙ NOTE DUCATI, PIAGGIO, CARNITI E SELVA.

Conservare, restaurare e lasciare tutto immutato nel tempo è un imperativo che i veneziani hanno ben presente e la bellezza che ne deriva l’hanno sotto gli occhi tutti i giorni. Mettendo insieme questi fattori, il risultato dell’opera di Maurizio è quella di recuperare e restaurare i vecchi motori. E non solo quelli, a volte, quando capita, anche le barche. È una passione, non un lavoro. La esercita nel tempo libero, ma lo fa con dedizione e impegno e da parecchi anni. Il primo obiettivo è quello di individuare il relitto. Ci riesce soprattutto grazie alle segnalazioni di amici. 

Il museo che ha allestito Saletti ospita decine di modelli restaurati. Il più antico è un Caille del 1916 e i più recenti sono degli anni ’70.

Maurizio recupera i motori abbandonati che stanno per finire in discarica. «Io sono un purista, non cambio nulla. Non uso pezzi di ricambio, anche perché spesso non ci sono trattandosi di fuoribordo molto antichi. Sembra paradossale, ma non è così impossibile rimettere in sesto un motore che è rimasto fermo a lungo». La prima operazione, una volta portato nella sua officina, è quella di verificare la compressione. «Se serve li apro, li smonto tutti e intervengo anche su alesaggio e pistoni, ma se la compressione è buona e il motore gira bene non li apro neanche». Poi si passa alla pulizia, alla revisione del carburatore e all’intervento sulla componente elettrica che di solito agisce su una dinamo. Questa è quella più delicata perché soggetta all’ossidazione, ma per fortuna questi vecchi motori non sanno nemmeno cosa sia l’elettronica. C’è tanta meccanica, ma questa, appunto, è più facile da restaurare.

Come nasce il fuoribordo?

Come spesso accade per le invenzioni destinate a cambiare il corso degli eventi, non esiste una sola versione della storia. Per il fuoribordo, gli inventori che si contendono il primato sono almeno due. Cameron Waterman, uno studente di legge di Detroit, nel febbraio 1905 smontò il motore di una motocicletta e ci attaccò un’elica, poi ci aggiunse una barra e un serbatoio di benzina e lo utilizzò sul fiume Detroit. Nonostante il fiume fosse pieno di blocchi di ghiaccio e uno di questi fece saltare la catena della trasmissione, la prova fu un successo tanto che nel 1906 iniziò la commercializzazione anche attraverso i fratelli Caille. Nel 1922 l’azienda fu rilevata dalla neonata Johnson Motor Company. Waterman non ottenne mai un vero brevetto perché c’era già, nel senso che alla fine dell’800 era stata depositata un’invenzione che contemplava una piccola caldaia con un’elica attaccata alla poppa di una barca ed è per questo precedente che, secondo Cameron Waterman, la sua invenzione non fu protetta dal brevetto che aveva richiesto. La seconda versione della storia della nascita del fuoribordo è forse più romantica e ci porta da Ole Evinrude. Il periodo è più o meno lo stesso, per l’esattezza la calda estate del 1906. Ole è il figlio di una famiglia di immigrati norvegesi che viveva in una fattoria vicino al lago Ripley, in Wisconsin, e aveva una fidanzata di nome Bess. Dall’altro lato del piccolo lago c’era una gelateria, ma ogni volta che Ole acquistava un cono per Bess e glielo portava con la barca a remi, arrivava sciolto. Fu così che gli venne l’idea di applicare un motore sullo specchio di poppa della piccola barca per fare più in fretta. Tre anni dopo, nel 1909, iniziò la commercializzazione dei primi fuoribordo Evinrude.

«I pezzi di ricambio me li procuro, nel senso che smonto tutto quello che mi può servire e spesso da tre motori ne salta fuori almeno uno funzionante».  Un atteggiamento assolutamente green che potrebbe rappresentare un esempio di transizione ecologica e che certamente dona valore a oggetti che sono considerati dei rottami.

Passando dalle pazienti mani di Maurizio Saletti questi rottami acquisiscono una seconda vita. Il restauro che realizza, infatti, non si limita a un maquillage per metterli in mostra, ma li rende nuovamente funzionanti e in grado di navigare. Una volta restaurati che fine fanno? «Qualcuno l’ho ceduto a persone che li utilizzano sui laghi o in laguna, ma la maggior parte li ho messi in un museo».

MAURIZIO È UN APPASSIONATO E UN AUTODIDATTA. GIRA PER I CANTIERI E GLI PIACE ASCOLTARE I CONSIGLI DI CHI HA LAVORATO PER UNA VITA RIPARANDO MOTORI.

Il museo è in un piccolo capannone a pochi chilometri di distanza, nel quale mi conduce. Non è ancora aperto al pubblico, per il momento è solo uno spazio, molto ben allestito, che Maurizio fa visitare ad amici e conoscenti. Sui piedistalli ci sono decine di modelli, per me, nella maggior parte dei casi, di marche sconosciute. Il più antico è un Caille del 1916, più o meno lo stesso periodo di Evinrude e quindi uno dei primissimi modelli di fuoribordo. Anche Caille è americano e ha un’elica a passo variabile in grado di fornire addirittura cinque differenti velocità. 

Tra i motori d’Oltreoceano ci sono i tanti brand che si sono affermati nel tempo: Evinrude, Johnson e Mercury, quasi tutti esemplari degli anni ’50. Maurizio ne ha recuperati anche di italiani, come Carniti e Selva e c’è perfino un esemplare di Cucciolo, il Ducati da 5 cv, lo stesso modello di fuoribordo che Maurizio usava da bambino. Maurizio mi racconta la storia di altri modelli come Franchi o Cristiani, un motore inventato da un ingegnere di Pavia. La maggior parte risalgono al secondo dopoguerra come Helios, un fuoribordo da 1,5 cavalli che si ispirava all’analogo modello di Johnson fatto però dell’ingegner Vassena. Helios nasce perché fino al 1945 c’era l’embargo dei prodotti americani e così Vassena si arrangiò rifacendolo. «Secondo me lo ha migliorato perché Helios funzionava meglio di Johnson». Molti fuoribordo nascono da altri settori. Per esempio, il 2 cavalli di Honda deriva dall’impiego come tagliaerba. Altri erano usati per il giardinaggio prima di incontrare l’acqua. La stessa cosa successe per la MAC di Castelfranco Veneto, che fu la prima a utilizzare un motore a pistone rotante che veniva impiegato come decespugliatore.

MAURIZIO SALETTI STA LAVORANDO AL RESTAURO DELLA BARCA PIÙ ANTICA CHE HA AVUTO PER LE MANI CHE RISALE AL 1910.  È UNO SCAFO IN LEGNO CON MOTORE ENTROBORDO.

E poi ci sono i modelli della Piaggio che interruppe la produzione nel 1966, perché con l’alluvione di Firenze la fabbrica fu travolta dall’esondazione dell’Arno e l’azienda non ritenne più vantaggioso riprendere questa produzione. Visitare il museo del fuoribordo allestito da Maurizio Saletti è come ripercorrere la storia dell’industrializzazione italiana. Ci sono tante aziende, di piccole e medie dimensioni, con molto ingegno e capacità di adattamento e altrettanto spirito imprenditoriale. È una memoria preziosa che va salvaguardata, perché è anche la nostra storia. La passione nel restauro di Maurizio si nutre proprio di questo. È un autodidatta con grande manualità. Quello che ha imparato deriva soprattutto dall’ascolto di chi nei cantieri della laguna veneta ha messo le mani su questi fuoribordo per ripararli. L’auspicio è che presto questo piccolo museo possa essere aperto al pubblico perché, come si dice, senza memoria non c’è futuro.

(Maurizio Saletti, fuoribordo, mon amour – Barchemagazine.com – Agosto 2022)