Luca Dini, contaminare gli stili

IL DESIGNER È UN TRADUTTORE, SI METTE SEMPRE IN MEZZO A DUE ENTITÀ. Si mette tra azienda e mercato, tra produzione e marketing, tra oggetto e utente, tra idea e macchina, tra sogno e realtà, e viceversa. Usando la filosofia, il designer è un demiurgo mediatore tra anima e materia. 

Un designer non è un inventore…può esserlo, ma non deve per forza inventare cose nuove, nuovi meccanismi, nuove tecnologie, nuovi materiali, nuovi processi industriali. Ci sono designer che con la loro cultura, gusto, attenzione ai dettagli, empatia con la società, riescono a disegnare forme che portano a prodotti e servizi capaci di farci sognare. Ma il designer non è un distributore automatico di lustrini e brevetti, il designer è un professionista del dialogo, fa chiacchierare amabilmente e fruttuosamente forma e funzione, produttività ed estetica, ecologia e prestazioni, profitto e sostenibilità.

Per fare questo deve avere una specifica preparazione tecnica, una profonda preparazione culturale, una spiccata visione globale. Proprio come Luca Dini, un professionista che si distingue per la ricerca perfezionista del particolare, una persona che ama confrontarsi da sempre con i cantieri e gli stessi armatori i quali riscontrano in lui la grande capacità di soddisfare i sogni e le esigenze del cliente a 360°, questo fa di lui un attento osservatore dei bisogni della committenza. Il briefing con il cliente ed il concept iniziale giocano dunque un ruolo fondamentale all’interno di tutte le progettazioni, ma è ancor più importante trovare soluzioni che funzionino nel tempo.

Akhir 42s

Lo abbiamo incontrato nel suo studio di Firenze, dove in oltre venti anni di attività ha disegnato 84 barche di tutte le misure. Racconta l’architetto fiorentino: «Mi piace sottolineare che noi ci siamo sempre trovati a disegnare pezzi unici. Non abbiamo mai lavorato con i grandi gruppi, ma con cantieri più di nicchia. Possiamo dire che per certi versi si tratta di un lavoro più complicato, si lavora quasi sempre su prototipi. Inoltre, non hai a disposizione strutture complesse dei grandi cantieri che ti possono supportare. Di queste 84 barche io sono molto orgoglioso, arrivare in fondo a tutte queste costruzioni è sempre stata un’impresa e comunque una bellissima avventura. Quelle che mi sono rimaste più nel cuore sono diverse, sicuramente Tribù, fatta per Luciano Benetton, essendo la prima Greenstar italiana, costruita quando gli Explorer non erano di grandissima moda».

Continua Luca Dini: «Tribù era un vero Explorer. Riconosco che forse sbagliammo a dargli un tipo di pittura che scimmiottava un po’ gli yacht. L’idea iniziale, anche se è rimasta una barca non stuccata, era di verniciarla a rullo, cattiva, grigia o di un colore un po’ più neutro, non così leziosa bianca con queste fasce blu. Da lontano la barca sembra quasi uno yacht come gli altri, invece doveva essere proprio diversa, addirittura la richiesta iniziale era quella di scrivere sulle fiancate no smoking in rosso. Doveva sembrare una barca da lavoro. Quella è stata una bellissima esperienza e mi è rimasta sicuramente nel cuore. L’altra è il Sea Force One, il 54 metri di Admiral che tante soddisfazioni ci ha dato anche perché l’abbiamo costruita insieme all’armatore in due anni veramente divertentissimi».

La cabina armatore dell’Akhir 42 S

Il Sea Force One è un autentico museo di arte contemporanea con pezzi straordinari. Molte e di grande impatto sono le opere disseminate sui tre ponti, tra sculture, quadri, installazioni luminose. Su quella barca c’era un rapporto strettissimo con l’arte contemporanea e questo è un valore che non sempre si trova nelle barche di oggi. Abbiamo chiesto a Dini qual è il suo rapporto con l’arte: «Bellissimo, quella esperienza ha arricchito chiunque abbia lavorato all’interno di quell’oggetto, è un modo importante di fare cultura».

Si schernisce quando gli chiediamo se come progettista si sente anche un po’ artista: «Quando sento qualche collega dire noi artisti, un po’ mi vergogno, sicuramente c’è una parte che può essere definita artistica o geniale. Purtroppo, io sono di Firenze e qui il paragone è con I mostri sacri, gli Artisti, senza andare a scomodare Michelangelo o Leonardo, ce ne sono centinaia di altri che sono un triliardo di passi più in alto di noi. Sicuramente è vero che noi facciamo degli oggetti che sono anche arte, ma chiamare noi artisti fa un po’ effetto».

Progetto di una nave di 42 metri

Sul Mondomarine Nameless di 41 metri ci sono diverse opere di arte moderna di artisti giovani emergenti. «Abbiamo a bordo tanti materiali dell’Antico Setificio Fiorentino, che produce sete e tessuti dal 1500, insieme ad opere d’arte moderne in un connubio molto interessante. Si può apprezzare il quadro astratto vicino al famoso tessuto Guicciardini che si usava seicento anni fa». Progettare barche porta spesso alla contaminazione di stili come nel caso dei Cantieri di Pisa: «Kitalpha per me è stata una bellissima esperienza perché sono andato a riprendere alcuni dettagli di barche di 60 anni fa, lavorando su alcuni concetti molto interessanti».

Luca Dini ha tra le sue molteplici qualità una buona dose di ecletticità: «Io penso di essere eclettico, nel senso mi è sempre piaciuto progettare cose differenti per ogni cliente in modo che non si sposino troppo tra loro. Per i Cantieri di Pisa ho disegnato Akir e Kitalpha che sono due tipologie di barca che non si parlano nemmeno, eppure sono dello stesso cantiere. Quando arriva un cliente e mi chiede un superclassico e poi ne arriva un altro che mi chiede un disegno moderno per me è una manna, mi dà la possibilità di staccare il cervello da una parte e di rimetterlo da un’altra, a me piace veramente spaziare il più possibile».

(Luca Dini, contaminare gli stili – Barchemagazine.com – Giugno 2017)