Harbours – Urbanistica e ambiente

Analizziamo quale dovrebbe essere l’approccio più corretto dal punto di vista dell’ambiente e del paesaggio per progettare un porto turistico

by Paolo Viola*

In Europa, ma soprattutto in Italia, l’agguerrito ed ammirevole mondo degli ambientalisti tende ad opporsi a qualsiasi trasformazione del territorio ed in particolare di quella preziosa porzione che è la linea di costa. Dico “ammirevole” perché se non avessimo avuto gli ambientalisti avremmo assistito ovunque a quei fenomeni di devastazione della costa simili a quelli consumatisi su quella tirrenica calabrese negli anni del boom turistico-edilizio. Bisogna però aggiungere, utilizzando una vecchia metafora, che – se nei secoli scorsi avessimo dato retta agli ambientalisti – Venezia non avrebbe mai visto la luce! Sono dunque dell’opinione che il problema non sia astenersi comunque dal costruire e non modificare mai nulla, ma piuttosto costruire bene e modificare in meglio. Se questo è dunque l’approccio corretto, comincerei – Venezia a parte – da qualche provocazione. Portofino è uno scempio o un gioiello? I porti turistici di Capo d’Orlando (porto “esterno”) e di Porto Rose (porto “interno”) hanno arricchito o impoverito la costa tirrenica occidentale della Sicilia? E, al contrario, c’è chi si sente di apprezzare il porto turistico di Fano, in Adriatico? Potrei citarne infiniti altri per dimostrare l’ovvio, che cioè esistono interventi positivi e negativi e che dunque il vero tema è proprio “fare bene” e “modificare in meglio”.

«L’idea di conservazione dell’ambiente non può che essere dinamica, cioè una conservazione nel cambiamento. Il paesaggio, se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, costituisce una risorsa favorevole all’attività economica». Giulio Senes

Sì, ma come? Da che parte cominciare? Credo che un buon approccio, forse un po’ astratto, sia immaginare che un porto “giusto”, dal punto di vista dell’ambiente e del paesaggio, debba sembrare esserci sempre stato, che sia cioè nato assieme al tratto di costa sul quale si trova, quasi a completarne la linea in modo spontaneo e naturale. Si può? Certo che si può! Bisogna esserne consapevoli e avere una corretta idea di che cosa è “il paesaggio”.

Un porto come Camogli si confronta con un borgo o una città retrostante, con cui stabilisce una stretta relazione, avvantaggiandosi dei servizi già disponibili nel tessuto urbano, ma spesso faticando a trovare i necessari spazi a terra per parcheggi o per la cantieristica navale.

Ne ho chiesto la definizione al professor Giulio Senes, docente di “Pianificazione e Progettazione del Paesaggio” del Dipartimento di “Scienze Agrarie ed Ambientali” all’Università degli Studi di Milano, che risponde così: «Dire cosa si intende per “paesaggio” è compito molto arduo. Per farlo è certamente utile riferirsi ad una definizione ampiamente condivisa come quella contenuta nella Convenzione Europea sul Paesaggio (2000) che lo definisce come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Si tratta, quindi, di un luogo fisico ma, nel contempo, in relazione continua con chi lo percepisce. In questa relazione entrambi i soggetti sono continuamente in evoluzione: sia il paesaggio, sia chi lo percepisce. Ecco, quindi, che l’idea di “conservazione” del paesaggio non può che essere di tipo “dinamico”, cioè una conservazione nel cambiamento. La stessa convenzione ribadisce che, “se salvaguardato, gestito e pianificato in modo adeguato, costituisce una risorsa favorevole all’attività economica”. Il paesaggio è “in ogni luogo un elemento importante della qualità di vita delle popolazioni, […] non solo nelle zone considerate eccezionali, ma anche in quelle della vita quotidiana”».

Commenta l’architetto Nicola Di Troia, di WiP: «non basta che sia “rispettato” il paesaggio, o che sia modificato o “costruito” in maniera appropriata secondo la definizione che ne abbiamo appena letto, occorre che l’integrazione della nuova struttura, nel più ampio contesto del territorio cui appartiene, rispetti un’armonia riconoscibile a diverse scale, da quella minima (ad esempio alla scala urbana) a quella più vasta che interpreta i caratteri dell’intera regione».

«Non basta che sia rispettato il paesaggio, o che sia modificato o costruito in maniera appropriata, occorre che l’integrazione della nuova struttura rispetti un’armonia riconoscibile a diverse scale, da quella urbana a una più vasta che interpreta i caratteri dell’intera regione».
Nicola Di Troia

A questo proposito merita di essere sottolineata la grande differenza che esiste fra un porto “urbano” (come, ad esempio, Santa Margherita Ligure o Camogli) ed uno “extraurbano” (come Alassio o Finale Ligure). Il primo si confronta con un borgo o una città retrostante, con cui stabilisce una stretta relazione, avvantaggiandosi dei servizi (commerciali, di ristorazione, ecc.) già disponibili nel tessuto urbano, ma spesso faticando a trovare i necessari spazi a terra (dai parcheggi alla cantieristica navale).

Un porto come Alassio si misura con la inevitabile condizione di isolamento e con la necessità di creare ex novo quell’effetto urbano che gli garantisce la vita e l’attrattività. 

Il secondo si misura con la inevitabile condizione di isolamento e con la necessità di creare ex novo quell’effetto urbano che gli garantisce la vita e l’attrattività. In entrambi i casi l’impianto portuale dovrà colmare eventuali lacune e finirà per risentire anche visibilmente di queste differenze, mentre il diverso modo di utilizzare il porto e i suoi spazi si riverbererà necessariamente sulle forme stesse del porto.

La partecipazione della popolazione nei processi di pianificazione e progettazione dovrebbe essere reale e non di “facciata”.

Sul fondamentale tema della partecipazione dei residenti alla pianificazione e alla progettazione di un nuovo porto, il professor Senes aggiunge: «Uno dei temi legati alla Convenzione Europea del Paesaggio è relativo al “ruolo attivo” della popolazione nella sua trasformazione. È un tema generale, ma che in qualche modo dovrebbe toccare anche la creazione dei porti turistici. La cosiddetta “progettazione partecipata” dovrebbe diventare una prassi comune: la partecipazione della popolazione nei processi di pianificazione e progettazione dovrebbe essere reale e non “di facciata”. Un secondo aspetto, a mio parere di grande interesse, che deriva dal primo, è che un progetto condiviso (potremmo dire “di tutti”) deve portare alla realizzazione di un luogo “per tutti”. Ad esempio, il tema dell’accessibilità è di grande interesse perché il porto turistico deve essere “aperto” alla comunità, rappresenta il luogo di incontro con l’acqua, un luogo che deve poter essere vissuto da chiunque. Nel progetto si traduce con l’attenzione ai collegamenti con il centro abitato, con l’accessibilità agevole (non solo motorizzata, naturalmente) e con la fruibilità dei luoghi da parte di tutti, non solo di chi vi abbia una barca ormeggiata.
Un terzo aspetto, infine, è legato all’attenzione per l’ambiente. Un’attenzione che non è solamente estetica (creare luoghi belli) ma anche di processo:ottimizzazione delle risorse, riduzione dell’inquinamento, utilizzo delle nuove tecnologie, approccio economico di tipo circolare».

In conclusione, unendomi alle riflessioni di Giulio Senes e di Nicola Di Troia, credo si debba affermare che realizzare un nuovo porto, o trasformare sensibilmente un porto esistente, sia un’operazione di estrema delicatezza, una decisione che va presa con il coinvolgimento di tutti gli stakeholders, in un quadro di compatibilità e di fattibilità non solo tecnico-economico-finanziaria, ma anche e soprattutto ambientale, sociale, politica e – non ultima – culturale.

Paolo Viola (Napoli, 1936) è ingegnere-urbanista, specializzato in progettazione portuale, responsabile dell’area “Marina & Waterfront” di WiP Architetti s.r.l.