Harbours – Le opere di difesa

Franco Grimaldi, fra i più noti progettisti italiani di opere marittime, ci spiega come si affronta il problema di proteggere le infrastrutture dalla potenza del mare

by Paolo Viola*

Pochi fenomeni naturali sono più spettacolari ed affascinanti delle mareggiate e delle onde che investono la costa, una spiaggia, una diga, un faro o anche uno scoglio isolato. Le manifestazioni della potenza del mare e gli effetti di grande bellezza che si possono osservare sono da sempre oggetto di miti e leggende, fonte di ispirazione per opere d’arte e letterarie, tema di indagini, rilievi e misurazioni tecniche e scientifiche. 

LA PREVISIONE DEL MOTO ONDOSO, CHE POTREBBE VERIFICARSI
IN UN DETERMINATO PARAGGIO, COSTITUISCE UN FONDAMENTALE
E DELICATISSIMO AMBITO DI CUI IL PROGETTISTA DI PORTI, DI INTERVENTI COSTIERI E DI PORTI TURISTICI DEVE TENERE IN GRANDE EVIDENZA.

Anche la ripresa fotografica e la semplice vista da terra (il cosiddetto wave watching) attraggono moltissime persone e trasmettono emozioni agli appassionati wave hunters che, in numero sempre maggiore, hanno individuato i migliori punti per osservare le onde in presenza di forti mareggiate e dedicano tempo alla ricerca di immagini di particolare suggestione.

Le onde e le loro caratteristiche sono però naturalmente anche un tema di assoluto rilievo, da valutare con la massima attenzione e con la dovuta professionalità e prudenza da parte di chi deve progettare, ad esempio, le opere di difesa di un porto. Per questa ragione abbiamo chiesto all’ingegner Franco Grimaldi, fra i più noti progettisti italiani di opere marittime, di spiegarci come si affronta il problema, ed ecco la sua estesa ed esaustiva spiegazione.

Franco Grimaldi

L’imboccatura di un porto da una parte deve “chiudere la porta” alle onde incidenti per impedire che il moto ondoso si propaghi all’interno del bacino portuale, d’altra parte invece “aprire” l’accesso al porto in maniera da rendere quanto più sicura e agevole la manovra delle imbarcazioni e delle navi in entrata ed uscita.

a) Il moto ondoso
Cosa sono e come si formano le onde? Tralasciando in questa sede onde particolari (onde “solitarie”, “tsunami” conseguenti ad eventi sismici o frane sottomarine, etc.), osserviamo subito che le cosiddette “onde vive” sono formate dall’azione del vento che, spirando sulla superficie libera del mare (come di qualunque altro specchio d’acqua, lago o fiume), trasferisce progressivamente all’acqua parte della propria energia. Contrariamente a quanto si potrebbe ritenere, le particelle d’acqua non avanzano nella direzione di propagazione delle onde ma – finché ci si trova in acque profonde cioè in assenza di frangimento – oscillano sostanzialmente sul posto, muovendosi su orbite ellittiche: è quindi l’energia che si trasmette nella direzione del vento e non l’acqua che si sposta perché sospinta dal vento. L’ampiezza del moto orbitale in corrispondenza della superficie del mare – e quindi l’altezza delle onde – cresce fino a raggiungere una condizione di piena “maturità” compatibile con il vento che le ha generate e si riduce procedendo dalla superficie verso il fondo del mare, fino ad annullarsi ad una certa profondità. Al cessare (o al ridursi) del vento che le ha formate le onde “vive” vengono chiamate “morte” o “lunghe” e proseguono la loro storia, attenuandosi gradualmente fino a scomparire o ad infrangersi sulla costa.

Avvicinandosi alla riva e al diminuire del fondale sul quale si propagano, tutte le onde subiscono importanti trasformazioni. Per citare solo (molto) sommariamente i principali fenomeni propri di onde “regolari” si osserva che la lunghezza (L) da cresta a cresta si riduce per effetto dell’attrito di fondo, l’altezza (H), (differenza di quota altimetrica tra cresta e cavo) aumenta, il periodo (T), (cioè il tempo, in secondi, intercorrente tra il passaggio di una cresta e la successiva) rimane sensibilmente costante, la direzione di propagazione su fondali acclivi si modifica avvicinandosi sempre più alla perpendicolare alla riva (fenomeno della rifrazione).

I fenomeni più vistosi ed importanti si osservano quando il fondale si riduce a circa 1/20 della lunghezza L e la costa è costituita da una spiaggia a debole pendenza oppure quando le onde incontrano un ostacolo.

Nel primo caso si verifica il cosiddetto frangimento: le orbite si deformano e si determina la “rottura” dell’onda, con formazione di veri e propri getti, trasporto di masse d’acqua e forte dissipazione di energia. La pendenza del fondale in rapporto all’altezza d’onda è determinante per governare le caratteristiche delle diverse tipologie di frangenti.

Quando le onde, anziché morire su una spiaggia, terminano la loro corsa contro un ostacolo fisico, naturale o artificiale, il frangimento avviene (con modalità spesso particolarmente “esplosive”) se l’ostacolo è una parete rocciosa naturale o un’opera di difesa portuale a scogliera ma può anche praticamente non verificarsi (in presenza di un fondale ai piedi dell’opera superiore almeno al doppio dell’altezza dell’onda) se l’ostacolo è costituito da una parete verticale piana.

L’energia dell’onda incidente viene pertanto dissipata in varie forme ed in misura diversa (alta – se non quasi totale – per una spiaggia, media per un’opera a scogliera di massi naturali od artificiali, molto modesta per una parete verticale) e la parte residua viene comunque riflessa dando luogo al fenomeno della riflessione. Una parete verticale può riflettere la gran parte (fino al 90 o 100%) dell’energia del moto ondoso che la colpisce e ciò genera, di fronte ad essa, un moto ondoso “di ritorno” speculare ed “incrociato” rispetto a quello incidente.

Altri fenomeni significativi di cui qualunque intervento portuale o costiero deve tener conto sono: la diffrazione (la propagazione delle onde a tergo di un ostacolo, ad esempio la testata di un’opera di difesa), la formazione di correnti longitudinali o trasversali alla riva, il run-up cioè la risalita dell’acqua lungo il profilo della spiaggia o della diga, l’overtopping cioè la quantità d’acqua che scavalca l’opera di difesa, etc.

b) La previsione delle onde, il “clima ondoso”
La previsione del moto ondoso che potrebbe verificarsi in un determinato paraggio costituisce evidentemente un fondamentale e delicatissimo compito del progettista di porti e di interventi costieri, in particolare di porti turistici. La previsione deve consentire la comprensione – quanto più possibile completa e basata su dati certi e strumenti di analisi affidabili – delle specifiche condizioni in atto nella località di interesse e di tutti i fenomeni presenti e potenzialmente possibili, cioè di quello che si chiama il “clima ondoso” dell’area di intervento e delle aree contigue potenzialmente interessate.

I dati e le informazioni locali da acquisire nonché le analisi da eseguire, limitandoci in questa sede ai soli aspetti principali e più propriamente di idraulica marittima (con esclusione quindi dei temi geotecnici, sismici, ambientali, urbanistici, paesaggistici, archeologici, etc.) riguardano in particolare, ancorché non in maniera esaustiva, i seguenti argomenti:
– il fetch, cioè l’area (o le aree, se diverse per orientamento, ampiezza di superficie e lunghezza) di mare libero da ostacoli davanti alla zona di intervento sulla/e quale/i può spirare il vento, con direzione ed intensità sostanzialmente costanti;
– l’andamento plano-batimetrico e le caratteristiche morfologiche del fondale antistante e circostante, esteso all’intera l’unità fisiografica interessata, da rilevare mediante accurati rilievi e indagini;
– tutti i dati e le informazioni reperibili circa le opere costiere e portuali eventualmente presenti nel paraggio o in situazioni assimilabili, le loro caratteristiche, comportamento “storico”, problematiche, etc.;
– dati e statistiche relative al regime anemometrico locale e generale, alle correnti costiere, alle escursioni di marea, al prevedibile innalzamento del livello medio del mare (sea level rise), etc.;

LA NATURA POCO RIFLETTENTE DEI PARAMENTI ESTERNI ED INTERNI DELLE OPERE DI DIFESA E DI QUELLE PERIMETRALI INTERNE AL PORTO PUÒ CONTRIBUIRE SENSIBILMENTE A CONTENERE L’AGITAZIONE ONDOSA.

Per quanto riguarda in particolare le onde si osserva che la definizione del “clima ondoso” deve consentire la formazione di un quadro completo e coerente delle condizioni da tenere presenti per il dimensionamento di tutte le opere da eseguire nonché per la valutazione del comportamento delle stesse e del loro impatto sul territorio e sull’ambiente, comprendenti:
– i valori estremi (altezza significativa e “massima”; direzione, periodo e lunghezza associati) in acque profonde antistanti l’area di intervento ed in prossimità delle opere di difesa, in base ai quali individuare l’“onda di progetto” rispetto alla quale dimensionare e valutare la stabilità delle opere. A questo scopo i dati acquisiti regolarmente ormai da diverso tempo dalla Rete Ondametrica Nazionale (RON) e le relative elaborazioni consentono una buona affidabilità. Va tuttavia tenuto sempre presente che la stima dei valori estremi di diversi parametri caratteristici del moto ondoso presuppone, in qualche misura, un processo di estrapolazione di dati “storici”, inevitabilmente affetto da margini di incertezza – specie in questi tempi di possibili cambiamenti climatici – di cui appare opportuno tener conto con ragionevole prudenza;
– i valori medi e la variabilità stagionale ed annuale in relazione ai quali valutare la prevedibile operatività del porto, in particolare la frequenza e la durata dei periodi di possibile difficoltà di manovra in entrata ed uscita dal porto delle imbarcazioni che si prevede di ospitare e la loro accettabilità;
– i parametri del moto ondoso considerati ammissibili nei diversi specchi acquei del porto in relazione alla sicurezza della navigazione interna e alla sicurezza e al comfort delle imbarcazioni ormeggiate, tenendo conto delle loro caratteristiche ed esigenze;
– i dati necessari per valutare – se del caso – il comportamento “storico” e attuale del litorale adiacente all’area di intervento, prevederne l’evoluzione per effetto delle nuove opere nonché i rischi di insabbiamento/erosione in corrispondenza della imboccatura portuale e dello stesso litorale, definire gli interventi da adottare.

I parametri relativi al clima ondoso sopra sinteticamente richiamati costituiranno il necessario input per gli efficienti modelli matematici – i migliori dei quali tra loro interagenti in pacchetti integrati – che sono oggi disponibili per mettere a punto tutti i principali aspetti del progetto. Non appare comunque inutile sottolineare la complessità delle considerazioni da fare e delle operazioni da eseguire, anche sul campo, ancor prima di procedere alla progettazione vera e propria delle singole opere.

PER LE OPERE INTERNE DI BANCHINA E COMUNQUE DISPOSTE LUNGO
IL PERIMETRO DEGLI SPECCHI ACQUEI PORTUALI LA LORO FORMA DEVE ESSERE PREFERIBILMENTE QUANTO PIÙ POSSIBILE ARTICOLATA.

c) Il progetto delle opere di difesa ed interne
Il layout delle opere di difesa è caratterizzato in particolare dalla forma dell’imboccatura portuale e dalle caratteristiche strutturali delle stesse opere. L’imboccatura costituisce indubbiamente una parte particolarmente importante – e potenzialmente critica – dell’intero progetto. Basti pensare infatti alle contrastanti esigenze che l’imboccatura deve soddisfare: da una parte “chiudere la porta” alle onde incidenti per impedire (per quanto possibile) che il moto ondoso si propaghi – direttamente o per diffrazione – all’interno del bacino portuale, d’altra parte invece “aprire” l’accesso al porto in maniera da rendere quanto più sicura e agevole la manovra delle navi in entrata ed uscita.

La progressiva messa a punto della soluzione più idonea fa di norma riferimento ai risultati dei modelli matematici cui si è fatto cenno per la valutazione in particolare dei fenomeni di diffrazione e riflessione e della conseguente agitazione interna residua nei diversi bacini. Lo studio mediante modelli fisici in vasca e/o in canaletta è stato in gran parte sostituito dai moderni modelli numerici ma può ancora risultare utile in alcuni casi. La natura poco riflettente dei paramenti esterni ed interni delle opere di difesa e di quelle perimetrali interne al porto può contribuire sensibilmente a contenere l’agitazione ondosa. Se del caso, possono anche risultare utili simulazioni di manovra delle imbarcazioni in entrata/uscita, da eseguire in tempo accelerato o, meglio, in tempo reale con pilotaggio manuale.

Il progetto geometrico e strutturale delle opere di difesa farà riferimento alla cosiddetta “onda di progetto” caratterizzata da un determinato “periodo di ritorno” (Tr) cioè gli anni prevedibilmente intercorrenti tra due eventi ondosi estremi in occorrenza dei quali si vuole preservare la stabilità dell’opera, eventualmente accettando che si verifichino danni di limitata entità. Per la valutazione della stabilità complessiva e delle singole parti dell’opera (nonché per la verifica della tracimazione e del run-up, anche ai fini della sicurezza delle persone e dei mezzi eventualmente presenti sulla diga) si farà ricorso anche in questo caso – oltreché a consolidate formulazioni ed esperienze – agli opportuni modelli matematici, eventualmente a modelli fisici.

Per le opere interne di banchina e comunque disposte lungo il perimetro degli specchi acquei portuali si osserva che la forma degli stessi deve essere preferibilmente quanto più possibile articolata: grandi bacini sostanzialmente rettangolari si prestano infatti alla formazione di oscillazioni di risonanza di lungo periodo, difficilmente controllabili ed assai fastidiose per le imbarcazioni all’ormeggio. Da quanto detto appare chiaro che, per contenere l’agitazione interna, le opere di bordo devono essere quanto meno riflettenti possibile. Oltre alle scogliere danno apprezzabili risultati anche opere a parete verticale (cassoni in cemento armato) le cui celle frontali sono forate e quindi consentono di smorzare la riflessione delle onde incidenti. Lo stesso si può dire per cassoni la cui parte frontale, al di sopra di una certa quota, ospita una ridotta scarpata di massi naturali, in grado di provocare il frangimento di piccole onde e quindi anch’essa di smorzare la riflessione. Effetti analoghi (se non migliori) si possono ottenere, se le condizioni lo consentono, anche con banchine costituite da impalcati sostenuti da pali e sottostanti scarpate di scogliera.

Ecco dunque che, mettendo insieme queste informazioni con i precedenti articoli della rubrica, dovremmo esserci fatti un’idea della complessità del progetto di un porto e delle ragioni per cui esso è sottoposto al vaglio di diverse Amministrazioni Pubbliche, attraverso iter complessi che conducono alle autorizzazione urbanistiche, edilizie, paesistiche, ambientali, etc.) e infine alla concessione demaniale delle aree e degli specchi d’acqua che vengono impegnati.

Nei prossimi articoli tratteremo dell’architettura e dell’estetica dell’impianto portuale, poi degli aspetti tecnico-economici della sua realizzazione, per finire con un esame delle grandi e piccole ricadute che i porti turistici provocano sul territorio.

Paolo Viola (Napoli, 1936) è ingegnere-urbanista, specializzato in progettazione portuale, responsabile dell’area “Marina & Waterfront” di WiP Architetti s.r.l.