Maurizio e Giovanni Granai, dealer del Gruppo Ferretti e grandi conoscitori del mercato nautico, ci hanno raccontato la loro storia, come è cambiato questo mondo negli ultimi quarant’anni
by Luca Sordelli, photo by Andrea Muscatello
La resilienza è la capacità di superare le difficoltà della vita con tenacia, riuscendo a trasformare la crisi in qualcosa di positivo. Una dote fondamentale che hanno solo uomini saldi nello spirito e nella testa. Le persone resilienti non si limitano a sopravvivere, reagiscono mettendo in campo la loro voglia di tornare a sorridere e lottano ogni giorno per conquistare la serenità perduta.
Proprio come Maurizio Granai (nella foto sopra) che, con Giovanni suo figlio, vanta quarant’anni di storia della nautica, e un futuro da affrontare con la fiducia di chi è consapevole della propria forza, cultura ed esperienza. La loro azienda si chiama GPY, sono dealer di Ferretti Yachts, Pershing, Mochi e Itama e hanno i loro uffici a Lavagna, Varazze, Cala de Medici e Sanremo.
Maurizio ha già combattuto tante battaglie, superato molte tempeste, ha collaborato con più brand. Ha un bel modo di raccontare le cose, un piacevole accento toscano, una voce pacata. «Tutto è iniziato nel 1978, quasi per caso. Mia mamma ancora si rivolta nella tomba, lei mi aveva già trovato un posto in banca».
E invece? «E invece io ai tempi, dopo l’Istituto Tecnico Commerciale, mi ero prima messo in testa di fare la libera professione come commercialista e avevo anche fatto due anni di praticantato. Poi ho incontrato una persona che aveva una piccola attività di vendita per articoli da campeggio e barchettine sulle colline del Pistoiese, ben lontano dal mare. Aveva anche un’altra attività principale, e mi chiese se potevo dargli una mano. Da lì sono partito. Appena ho avuto un po’ di libertà di azione ho spinto sempre più verso la parte nautica. Poi sono rimasto l’unico titolare. Ho sempre avuto l’ambizione di fare le cose per me, in proprio».
Giovanni lo ascolta, sorride sentendo questa storia: «Io ho studiato Economia Aziendale ma, in realtà, mi è stato molto più utile lavorare al fianco di mio padre da subito, già mentre seguivo i corsi all’università, imparare sul campo».
Una volta si diceva lavorare a bottega. «Esatto, il primo Salone di Genova l’ho fatto a 17 anni. Ora ovviamente lavoro a tempo pieno in azienda ma mi rendo sempre più conto di quanto sia stato fondamentale oltre che apprendere la teoria, stare al fianco di mio padre e capire come funziona questo mondo».
Adesso papà e figlio Granai come si dividono i compiti? «In linea di massima io mi occupo della Liguria, papà della Toscana. Ma viene anche naturale che, quando si tratta di chiudere i contratti più delicati o importanti, io possa contare sulla sua esperienza».
A proposito di esperienza, chiedo a Maurizio, com’è cambiato il modo di fare questo lavoro in questi quarant’anni. «Se ci ragiono un attimo, realizzo che durante questi quattro decenni ho completamente cambiato modo di vivere almeno cinque volte. Intendo non solo i luoghi dove ho vissuto, di semplici traslochi, ma del modo di pensare, di interpretare questo lavoro. Le cose cambiano rapidamente, bisogna sapersi adeguare velocemente, essere reattivi. È forse la parte più bella e difficile di questo lavoro, saper restare al passo coi cambiamenti. Me ne rendo conta ancor di più oggi, facendo il confronto con Giovanni.
Ci sono ambiti della nostra attività dove faccio più fatica di lui. La sua giovinezza e la sua reattività sono fondamentali per interpretare e reagire a quella che è la nautica di oggi».
Lei però può sempre contare sulla forza che arriva dall’aver superato anche momenti difficili: «Ho attraversato periodi veramente molto critici e altri molto floridi. Gli armatori, col tempo, sono cambiati insieme alla società. Quando ho iniziato esistevano ancora le famiglie con due stipendi che potevano permettersi una barchetta o un gommone. Quella era la base del mercato. Ora quel mondo è praticamente scomparso».E invece, adesso, come funziona questo mondo? «Noi abbiamo dovuto scalare la piramide. I cosiddetti “prospect” si restringono, sono meno le persone che possono essere potenziali armatori. Bisogna andare a cercare i clienti in maniera molto diversa, comunicazione e marketing sono completamente diversi da come erano negli anni ‘90, ma anche da come erano dieci o cinque anni fa. Ora gli uffici hanno solo una funzione di rappresentanza, certo non puoi aspettare che la porta si apra e qualcuno venga a chiederti una barca».
Interviene anche Giovanni: «Per un dealer è prima di tutto importante un buon “biglietto da visita”, un brand forte, un nome importante che dia credibilità. Per noi lavorare con il Gruppo Ferretti è una garanzia. Si tratta non solo di un nome nobile della nautica internazionale, che può contare su una lunga tradizione, ma è anche un marchio che investe tantissimo in ricerca e sviluppo. Con un piano ben preciso nel lancio di nuovi modelli. Ora il più “vecchio” che propone in listino ha solo due anni di vita».
Insomma, state cavalcando il cavallo giusto. «Assolutamente, aggiunge Maurizio Granai, ma ci tengo a sottolineare che molti dei nostri clienti ci seguono da vent’anni e anche più, anche attraverso più marchi. Questa per noi è una grande soddisfazione. È una questione di fiducia nei confronti di chi vende. E la storia della nautica, nei decenni scorsi, è piena di esempi poco “virtuosi”; gli episodi incresciosi non sono mancati. Potersi rivolgere a qualcuno di affidabile è fondamentale. Loro, gli armatori, all’inizio di tutto ci affidano centinaia di migliaia di euro, in cambio di un pezzo di carta. Si capisce che la fiducia con la controparte acquista un valore determinante».
Voi dalla crisi del 2008 siete usciti, altri non ce l’hanno fatta:«Sono stati anni difficili, di tormento interiore e aziendale. Ma alla fine ne siamo venuti fuori rafforzati. Abbiamo sofferto, ma anche imparato. Ora lavoriamo con gli stessi fatturati del 2007, ma in maniera molto più razionale, più efficiente. Con un’impostazione aziendale migliore».
È cambiato anche il rapporto tra cantiere e dealer? «Assolutamente. Ora siamo in un Gruppo dove si lavora sul medio periodo, con più programmazione, più tranquillità. Un tempo era molto diverso. Prima del 2008 sembrava che tutto andasse bene e che, addirittura, fosse impossibile organizzare meglio la filiera e invece…».
Si lavorava su numeri finti… «Esatto, l’importante per il cantiere era vendere ai dealer il maggior numero di barche possibile, poi era un problema del dealer liberarsene, con una conseguente tendenza ad una lotta selvaggia sui prezzi, a ritirare usati ingombranti e così via. C’era ansia da prestazione immediata. Ora riesci a concentrarti meglio sulla programmazione, sugli armatori. Non hai più la preoccupazione delle quaranta tonnellate di barca ormeggiate davanti all’ufficio che invecchiano e che sono solo un costo».
Dovendo chiedere di più al Gruppo Ferretti, cosa vorreste che facessero? Dove bisogna andare per vendere ancora più barche? E qui è papà Maurizio a rispondere, senza troppe esitazioni, con toscana schiettezza. «Bisogna saper analizzare il mercato, vedere cosa fanno gli altri, e fare un ulteriore passo in avanti. Questo, ovviamente, mantenendo un prezzo competitivo».
(GPY, Maurizio e Giovanni Granai: la resilienza, prima di tutto – Barchemagazine.com – Ottobre 2018)