Francesco Bogazzi è un uomo che ha fatto delle sue passioni il suo lavoro e la sua fortuna, ma che non ama definirsi chef
by Francesca Portoghese
SEDUTI IN UN CAFFÈ AL PORTO DI VIAREGGIO, CHIACCHIERIAMO CON FRANCESCO BOGAZZI, cuoco di bordo (non chiamatelo chef, per carità) che, dopo aver respirato in famiglia la passione per la cucina e per il mare, si imbarca quasi per caso sul suo primo panfilo e fa del suo lavoro la sua fortuna. Sì, perché per poter cucinare su uno yacht non servono solo bravura e maestria, ci vogliono anche l’amore per la navigazione e il desiderio di andare lontano. E se ami la cucina e il mare, questo lavoro è la più grande fortuna. È a casa con sua nonna e sua mamma che Francesco comincia a mettere le mani in pasta. Ed è proprio il caso di dirlo poiché una delle prime cose che il nostro cuoco impara a fare è la pasta fresca, vero marchio di fabbrica del suo lavoro. A bordo, crea piccoli capolavori con acqua e farina per la felicità di ospiti e armatore, ma anche per concedersi un momento di relax, perché non c’è niente di più terapeutico che impastare con le mani, ci ha confidato.
A differenza di molti suoi colleghi, Francesco comincia la sua carriera quasi immediatamente in mare. Dopo gli studi all’Istituto alberghiero di Marina di Massa e una piccola esperienza in un albergo della provincia di Carrara, si imbarca, non a caso, su uno dei velieri più famosi e antichi del Mediterraneo, la Croce del Sud. Non a caso, sì, perché oltre ad imparare a cucinare, da piccolo, questo giovane cuoco ha imparato anche ad andare a vela con il suo papà. Un binomio perfetto, dunque, un retaggio familiare, ricordi, esperienze e tanti segreti che plasmano il suo lavoro e lo rendono bellissimo. Le sue risposte arrivano tutte in un’ondata di entusiasmo, all’ombra degli yacht ormeggiati al porto di Viareggio, che aspettano di salpare incontro all’estate, lasciandosi alle spalle l’immobilismo, seppur necessario, di un surreale lockdown.
Francesco, ci racconti della tua prima esperienza a bordo?
Un’esperienza fortunata. La barca era niente poco di meno che la Croce del Sud, una delle barche a vela più belle e antiche del Mediterraneo, e, a soli 22 anni, sono salpato come aiuto di uno dei più grandi maestri che abbia mai incontrato. Sono più di vent’anni che mi sento così fortunato e che il mio lavoro si fonda sull’unica cosa che mi dà quella scarica di adrenalina necessaria per portare in tavola sempre il meglio: la sfida. Perché cucinare a bordo è una sfida continua, con te stesso e con l’armatore che si diverte a metterti in difficoltà, che gioca usando la sua fantasia e le tue abilità. Alle volte, sembra che il piatto arrivi in tavola sulla colonna sonora di Mezzogiorno di Fuoco (Fred Zinnemann – USA, 1952). Può sembrare stressante, ma per me non lo è. Per me è solo la linfa vitale del mio straordinario lavoro. Una cosa importante che ho capito su quel veliero è che in barca è davvero molto difficile organizzare in anticipo il menù. Si può fare, e spesso può essere un vantaggio, ma per come vivo io la mia cucina, dopo tutti gli incontri che ho fatto, so che al mattino la mia sveglia suonerà e ad aspettarmi ci saranno solo tante incognite interessanti. È una corsa contro il tempo, ma io sono un corridore e mi piace vincere.
«Quando seguo un armatore, entro nel suo mondo, lo studio, lo imparo e lo porto in tavola. L’originalità è un abito da cucire addosso al carattere del cliente che vuole essere capito e interpretato». Francesco Bogazzi
Quanto conta la tua forza comunicativa?
È determinante. E anche in questo caso, c’entra la fortuna, perché ho sempre saputo creare un rapporto di grande empatia con i miei armatori, riuscendo facilmente a comunicare i miei pensieri, i miei gusti, il mio modo di vivere e di intendere la cucina. Apro dialoghi stimolanti, divertenti e produttivi e il piatto di cui discutere, il menù da stabilire diventano veri e propri tavoli da gioco: devo muovere bene le mie pedine e giocare d’astuzia, voglio avere sempre l’ultima parola. Se, per mancanza di tempo o per penuria di materia prima, non posso preparare quello che l’armatore mi chiede, devo prenderlo sottobraccio e condurlo dove voglio io fino a fargli desiderare un piatto diverso, migliore di quello proposto, un piatto che dovrà entrare a piè pari nei suoi pensieri e farsi largo tra i suoi desideri culinari, creando un’attesa inaspettata ed un totale appagamento di vista, olfatto e gusto. Ho vinto io? No, abbiamo vinto entrambi. Ma io resto in testa! Con il mio lavoro, entro nella vita personale dell’armatore, imparo a conoscerne i gusti, le aspettative, quello che non mangia e quello che proprio non sopporta. È da qui che parte il brivido, è da qui che lancio le sfide e le ricevo. Il rapporto umano nel mio lavoro è fondamentale. Io mi innamoro sempre della storia del mio cliente. Stabilire un vero contatto con lui significa tracciare la strada da seguire in cucina. È veramente difficile che un armatore non sia interessato al cibo. Nel suo amore per un piatto o per un altro ci sono i valori, le passioni, i desideri, le virtù e anche i vizi. E aprirgli le porte della mia conoscenza, accoglierlo nel mio mondo significa cominciare un bel viaggio insieme. Ho conosciuto un armatore che aveva la sua acetaia e che produceva una botte di aceto nuovo per ogni figlio che nasceva. Una tradizione di famiglia perpetrata negli anni che parlava di amore per il buon cibo, per le cose sane e genuine. Il senso del bello anche a tavola, il bello attraverso cui si comunica e ci si emoziona. Poi un po’ di quell’aceto me lo sono fatto regalare.
Cosa serve per essere cuoco di un grande yacht?
Il faut faire avec, come dicono i francesi. L’arte di arrangiarsi è determinante, impossibile fare senza. Non sto dicendo che si debba arrabattare, loin de là, ma tra le pentole e i fornelli si deve saper trovare anche la capacità di tirar fuori sempre il meglio con quello che si ha. È un lavoro impegnativo, che richiede concentrazione, ma anche grande inventiva. L’ingegno in cucina gioca un ruolo fondamentale e in barca è tra gli ingredienti essenziali per tutti i piatti, dagli antipasti ai dessert. L’amore per il mare è un’altra delle cose che chi vuole lavorare in cucina a bordo deve avere. Io ci sono nato, in mare. A sei mesi, i miei mi hanno portato a fare la prima crociera all’Argentario. Ho trascorso molto tempo lontano dalla terra ferma prima di cominciare a fare il mio mestiere e il mare mi è entrato dentro. Deve scorrerti nelle vene, il mare, altrimenti, dopo la prima stagione, mollare diventa l’unica opzione. La passione per il mare è il valore aggiunto del mio lavoro. È grazie al mio mestiere se ho scoperto vicende incredibili e posti magnifici.
Come si bilancia tecnica e creatività?
Quello dev’essere un matrimonio ben riuscito. Tecnica e creatività devono potersi vedere, toccare, intuire, sentire, assaporare. Solo se un piatto coinvolge tutti e cinque i sensi, se avvolge l’ospite, se lo cattura e lo ipnotizza so che è fatto bene. Il colpo d’occhio deve essere una promessa, quella dell’eccellenza nel gusto. L’arte della cucina corrisponde all’arte visiva ed emozionare il senso estetico ancor prima di quello gustativo è essenziale. Non crediate che sia solo questione di fantasia, perché se non scelgo la materia prima giusta, se non mi affido alla tecnica e alle conoscenze che ho, rischio di penalizzare il piatto. È come se io fossi davanti ad un foglio bianco: con una matita traccio un puntino e intorno ad esso devo disegnare un cerchio perfetto. Non posso farlo a mano libera e allora prendo il compasso e con estrema attenzione comincio a ruotare lo strumento fino a far combaciare perfettamente le due estremità che non devono marcare il punto di partenza e il punto di arrivo, ma si devono fondere in una forma perfetta che sembra essere nata così.
Quanto conta essere originali?
Questo dipende molto dal cliente. Mi è capitato di cucinare a bordo di navi charter e, in questo caso, lo stupore in tavola fa parte del pacchetto. E allora invento, spazio, oso. Quando invece seguo un armatore, entro nel suo mondo, lo studio, lo imparo e lo porto in tavola. L’originalità è un abito da cucire addosso al carattere del cliente che vuole essere capito e interpretato. La mia cucina deve diventare il micromondo dell’eccellenza a cui è abituato. Lui (o lei) deve sentirsi abbracciato, deve percepire la magia dei sapori e degli odori.
Qual è il tuo rapporto con l’appetito?
In barca è molto difficile che mi venga un grande appetito. Sono sommerso dai miei ingredienti che coccolo e trasformo, non sempre riesco anche ad aver voglia di mangiarli. Spilucco, ecco, questo faccio quando sono in barca. Spesso, mentre cucino, mi capita di preparare uno spuntino ai ragazzi dell’equipaggio e allora sgranocchio anche io una bruschetta, ma l’appetito è altro. Credo di essere talmente appagato da quello che faccio, che a bordo mi nutro solo lavorando con mani e occhi. Poi però, una volta a terra, il piacere della buona tavola, quella fatta solo per me e per la mia famiglia, non deve levarmelo nessuno. Perché mangiare è piacere, estasi pura.
Quali piatti preferisci cucinare?
I retaggi familiari sono i pilastri del mio lavoro e forse per questo preparare la pasta fresca è una delle cose che mi piace di più fare quando sono a bordo. Se scegli di diventare cuoco, lo fai perché ti piace dare piacere, perché appagare il palato dei tuoi commensali è una soddisfazione a cui non puoi rinunciare. È un continuo atto di amore, anche per persone che non conosci. Preparare la pasta con le mani è la massima espressione di questo amore. I miei genitori lavoravano sei giorni su sette, ma la notte del sabato li sentivo trafficare in cucina: impastavano per il pranzo della domenica. Allora mi alzavo e insieme a mio fratello prendevo il mio posto. Era un lavoro svolto da un’affiatatissima équipe familiare. Probabilmente, è da qui che nasce anche la mia maniacale predilezione per i condimenti semplici e genuini come un olio extra vergine di oliva, o un aceto di altissima qualità. Nella mia cucina non ci sono glasse, salse troppo costruite e qualsiasi eccesso che rischi di coprire il sapore della materia prima. La ricerca spasmodica dell’eccellenza mi guida in tutto quello che faccio… e in tutto quello che rischio. Ricordo che una volta a Bodrum, in Turchia, sono sceso in banchina perché l’armatore aveva un’irrinunciabile voglia di pesce. Mentre mi aggiravo sperduto cercando il mercato, mi sono visto affiancare da un tizio in motorino che mi ha promesso di portarmi nel posto giusto. Sono salito in sella senza pensare a niente se non alla cena che dovevo preparare. Dopo pochi chilometri, mi sono reso conto che non avevo idea di dove questo signore mi stesse portando, parlava un inglese stentato ed io vedevo il porto allontanarsi dietro di me. Sono stato fortunato: siamo arrivati al mercato del pesce, ho fatto la mia spesa e sono tornato in barca sano e salvo. In cucina ho riso, avevo rischiato, ma la sfida era salva. Si andava in scena. In barca mi diverte molto anche preparare i dolci e non scendo mai a compromessi con gli ingredienti. Alla fine di una cena, un armatore mi fece promettere di nascondergli la torta Caprese che gli avevo preparato come dessert perché altrimenti l’avrebbe finita tutta da solo. Erano circa le quattro del mattino quando vennero a bussare alla porta della mia cabina dicendomi che l’armatore stava mettendo a soqquadro la cucina per scovare la torta. Andai da lui, ci guardammo di sottecchi, dietro un reciproco sorriso sornione e non furono necessarie parole: nascosta dietro una pila di pentole, c’era la sua Caprese. La presi e gli consegnai il bottino. Una coccola notturna se la meritava. E anche io me l’ero meritata, quella soddisfazione. Mi pregò di non ascoltarlo mai più e così fu.
La cucina migliore del mondo?
La cucina italiana è la migliore, ma amo anche la cucina greca e la cucina spagnola e spesso propongo piatti ricchi di commistione, in cui il tricolore, però, riecheggia sempre con orgoglio. Mi diverto anche a sperimentare e quando so che un armatore segue una dieta particolare e vuole mangiare cibi funzionali ad una sana gestione della salute anche in barca, mi metto subito all’opera e mangio come lui. Assaggio, sperimento, cambio, arricchisco, elimino e creo. Ultimamente mi è capitato di ricevere richieste di piatti vegani, e se non è una sfida quella… Sono le occasioni in cui da cuoco ti trasformi in illusionista: devi saper sorprendere e ingannare, conquistare con una novità che ha tutta una sua filosofia, ma che non vuole (e non deve) allontanarsi dal gusto.
Cosa non manca mai nel frigorifero di casa tua?
Posto d’onore al lievito madre, che ovviamente preparo anche per la barca. In credenza, invece, tanti liquori fatti in casa. La passione per un’alimentazione salutare che nasce in famiglia e che, con mio grande orgoglio, sta conquistando anche mia figlia che ha solo quattro anni, mi segue ovunque e, oltre alla pasta fresca, a bordo preparo anche confetture e marmellate, biscotti, pane, focacce.
Che libro c’è oggi sul tuo comodino in cabina?
Quando lavoro, il tempo per leggere è davvero poco, ma la sera sento il bisogno di staccare la spina e concedermi qualche minuto di riposo mentale leggendo qualche pagina prima di addormentarmi. Oggi sul mio comodino, tre titoli: L’Istituto di Stephen King, Il Libro dei Chakra di Anodea Judith e Tutto quello che sai è falso.
Riesci ogni tanto ad uscire dalla cucina quando sei in barca?
Raramente, anche perché quello che faccio mi piace talmente tanto che il tempo passa ed io non me ne accorgo. Ma quando ci riesco, scappo volentieri e vado a cercarmi un po’ di spazio per fare yoga, scendo a terra per una corsetta o mi concedo una sauna rigenerante.
Sei diventato quello che sognavi di essere da bambino?
Ah no, no. Da bambino sognavo di diventare un supereroe.
(Francesco Bogazzi, non chiamatemi Chef – Barchemagazine.com – Agosto 2020)