Enrico Costanza, l’ortolano stellato

Dall’orto alle cucine stellate, trascorre così le sue giornate Enrico Costanza, l’ortolano che collabora con gli chef

by Francesca Portoghese – photo by Martina Caruso and Marina Spironetti

L’anello mancante tra l’orto e la cucina, è così che gli piace definirsi: Enrico Costanza è il giovane ortolano stellato che con meticolosa curiosità padroneggia il mondo vegetale e porta nelle cucine dei più grandi chef un incredibile repertorio verde che sa arricchire di colore, profumo e sapore i loro piatti. Cresciuto con il pallino di fare il giardiniere, sebbene benevolmente ostacolato da una famiglia di pastori barbaricini, Enrico non diventa subito ortolano culinario (o Culinary Gardener, come lo chiamano gli amanti dei prestiti linguistici). Dopo una laurea in lettere e un periodo nell’editoria, scrivendo per RCS e occupandosi di cataloghi di mostre, decide che vuole e deve coltivare la sua passione per le piante. Tra un corso ai Giardini di Boboli a Firenze e un incarico nel Regno Unito per il National Trust, passando per i giardini di Claude Monet in Normandia, Enrico completa la sua formazione e torna in Italia.

Tacos ripieno di finocchio marino scottato in acqua, maionese e gel di carpione. Chef Antonio Zaccardi, una stella Michelin, ristorante Pashà.

Limbarda crithmoides, enula marina
Ricche di oli essenziali e di sapore molto particolare, quasi resinoso, le piccole foglie succulente possono essere utilizzate a crudo per la preparazione di un’insalata o di un cous cous. Chi veleggia verso Le Punte a Filicudi non potrà non notare delle vere e proprie colonie di enula lungo gli scogli.

A cambiargli prospettiva però, arriva l’incontro con Simone Salvini, uno che in fatto di cucina vegetale la sa davvero lunga. Lo chef vegano lo convince che per la sua carriera è il momento di una virata: dal sogno di diventare giardiniere ornamentale deve passare ad un altro. Un bellissimo sogno. Spinto da questo incoraggiamento, alla vecchia maniera, carta e penna alla mano, ha l’ardire di scrivere niente poco di meno che al giovane ma leggendario chef Enrico Crippa. E così iniziò tutto.

Triglia con le sue frattaglie, salicornia, olio e limone. Chef Martina Caruso, una Stella Michelin, ristorante Signum

Crithmum maritimum, finocchio marino
È l’erba di mare per eccellenza, la individuerete facilmente e ovunque lungo tutte le nostre scogliere e ancora oltre, fino alla Gran Bretagna (Shakespeare menziona questa pianta nel suo King Lear). È detta anche “erba di San Pietro” in quanto nel passato era molto usata dai pescatori, di cui il santo è patrono, per la sua efficacia contro lo scorbuto. Occhio, dunque, alle ombrelle di colore verde chiaro e alle foglie lanceolate. Il gusto è quello fresco del finocchio, ulteriormente potenziato da un profilo terpenico molto intenso. Le cimette sono ottime nell’insalata, oltre che fare da contorno perfetto in tutti i piatti a base di pesce, sia crude sia appena sbollentate. Si sposano con la maionese e la bruschetta resta insuperata se si aggiungono le acciughe. Se volete portare a casa un ricordo marino del vostro viaggio, potrete conservare fiori e foglie sottolio oppure, per i più arditi, farne addirittura un liquore.

Enrico, che lavoro è il tuo? Mi sono inventato un lavoro. Partendo dal seme, coltivo per la ristorazione. Mi divido tra la vita nell’orto e le cucine, dove ascolto i desiderata degli chef. Davanti ad ortaggi, erbe da taglio, erbe aromatiche, fiori edibili e spezie, comincio ad imbastire il mio lavoro sartoriale di pianificazione, che abbino all’idea di cucina che lo chef mi racconta. La ristorazione stellata ha un grande punto di forza: nel fine dining lo chef consuma tutto ciò che riceve dall’orto, senza sprechi e senza attese. Alla base di questo lavoro c’è anche tanta ricerca, vado in giro a scartabellare cataloghi di semi di piante e di fiori, e sicuramente non potrei fare a meno del foraging: cerco in natura ciò che non coltivo, questa è la parte più romantica del mio lavoro, ma anche la più impegnativa e onerosa. Se volessi le violette per farne uno sciroppo, ad esempio, dovrei impiegare quattro persone che, andando carponi nei boschi, riuscirebbero a raccoglierne cinque etti al massimo, dovendo anche separare i calici dai petali. Ma si sa, questo è il valore aggiunto della cucina stellata: l’impegno e il lavoro di tante persone dietro la costruzione di un unico piatto.

In cosa le tue piante arricchiscono i piatti? L’arricchimento sta nel lusso di utilizzare un prodotto di qualità, sempre fresco, che non subisce stoccaggio o viaggi troppo lunghi. Il bravo chef che incontra la mia materia prima esalta il sapore dei suoi piatti, rispettando il profilo gustativo o olfattivo delle erbe.

Tartare di vitello, acqua di mare, erbe di barena e fioriture primaverili. Chef Daniele Zennaro, ristorante Algiubagiò.

SALICORNIA EUROPAEA, ASPARAGO DI MARE
Spesso si trova anche in pescheria, ma quale soddisfazione nel raccoglierla al mare? Per scoprire un gusto ancora più fresco e salino, soprattutto se raccolta tra la primavera e l’inizio dell’estate. Sembrerebbe una recente scoperta degli chef, eppure il “sale dei poveri”, così la pianta era chiamata in passato, è un sapore della cucina tradizionale (per esempio, come sottolio è presente tra i prodotti agroalimentari tradizionali della Puglia). Bastano poche foglie per portare il mare nel piatto, la sua carnosità la rende vegetale di sostanza, avvicinandola ad essere un vero e proprio ortaggio. Si abbina ai piatti di pesce ed è gustosa con i fagiolini. Prospera abbondante nei ristagni d’acqua salata e sarà assai semplice individuare i suoi fusti allungati, sottili e rivolti verso l’alto. Se vi trovate nel Gargano, non perdete la Festa del Pane e della Salicornia.

Declinazione di bottarga con salsola soda, enula marina e finocchio marino. Chef Francesco Stara, una Stella Michelin, ristorante Fradis Minoris.

Scendi a compromessi con le piante? Dobbiamo sempre ricordare che nel mondo vegetale tutto ciò che consumiamo è frutto di un’invenzione. Oggi più che mai è necessario un distinguo tra natura e agricoltura: partendo da una base selvatica che si è sempre rivelata particolarmente avara, secolo dopo secolo l’uomo è stato costretto a studiare gran parte delle specie naturali per trasformarle in frutti o ortaggi. È per questo che penso che l’aggettivo naturale debba essere sostituito con “rispettoso”, perché l’agricoltura attiene alla tecnica, in tutto e per tutto. Spesso ci ritroviamo a dover forzare i meccanismi di crescita delle piante, in un lavoro che si traduce nel taglio, nella potatura, in una vera e propria depredazione.

Quanto contano le sperimentazioni? C’è sempre qualcosa di nuovo da provare, tra antiche e moderne varietà. Fortunatamente, il clima in Italia ci aiuta molto: penso alla Liguria, oppure alla Puglia, una regione vocata all’agricoltura in cui la stagione di fermo è brevissima.

Qual è il tuo rapporto con gli chef? Per scegliere lo chef con cui lavorare, mi affido ad una prima intervista psicologica, cerco di capire quanto conosca il complicato meccanismo della coltivazione e quale sia la sua firma. Devo riconoscere che incontro sempre più sensibilità sul mondo vegetale e grande attenzione alla stagionalità, e le richieste che arrivano mi supportano nell’individuare cosa coltivare e come strutturare meglio il menu.

Carpobrotus edulis, fico di mare
Chi non conosce questa succulenta originaria del Sud Africa, che si è bene ambientata anche sui nostri litorali, ricoprendo a macchia dune e spiagge? I petali dei suoi fiori, di intensa tonalità viola, possono dare colore a un piatto, mentre le giovani cime apicali, ricchissime di acqua, possono essere l’elemento “croccante” di un’insalata, se opportunamente trattate con succo di limone.

A te come piace definirti? Amo la parola ortolano che nell’immaginario evoca una dimensione povera ma molto nobile.

C’è qualcosa che ti stupisce del tuo lavoro? Voglio antropomorfizzare la mia risposta: ciò che mi stupisce è la vitalità delle piante, la loro vigoria che si esprime in una disperata voglia di affermazione di vita.

Avvicinandoci al mare e alle coste, quali sono le piante che possiamo portare in tavola? Il mare e le coste offrono tanto e il foraging è un’attività determinante per gli chef che vogliono legare a doppio filo la loro cucina al territorio. Per chi volesse andare alla scoperta di questi regali della natura, il consiglio è di raccogliere le piante spontanee edibili all’inizio della stagione perché, in genere, i germogli giovani hanno un gusto più gradevole. L’erba di mare per eccellenza è una pianta facile da reperire e indentificare, da divertirsi a cercare durante una bella vacanza in barca. Sto parlando del Crithmum maritimum, il finocchio di mare, una pianta dal gusto molto interessante, citata da Shakespeare nel suo King Lear. Presente lungo tutte le nostre scogliere, fino ad arrivare alle coste di Gran Bretagna e Normandia, è una pianta ricca di vitamina C. È anche chiamata “erba di San Pietro” perché in passato veniva usata dai pescatori, di cui il santo è patrono, per la sua efficacia contro lo scorbuto. Occhio, dunque, alle ombrelle di colore verde chiaro e alle foglie lanceolate. Il gusto è quello fresco del finocchio, potenziato da un profilo terpenico molto intenso. Le cimette sono ottime nell’insalata, buonissime come contorno per piatti di pesce, crude o appena sbollentate si sposano con la maionese, e la bruschetta resta insuperata con l’aggiunta di acciughe. Se volete portare a casa un ricordo marino del vostro viaggio, potrete conservare fiori e foglie sott’olio oppure, se siete esperti distillatori, farne un ottimo liquore.

ATRIPLEX HALIMUS, ERBA SALE
Difficile non notare questa pianta arbustiva che con le sue piccole foglie disegna cuscini grigio-azzurro su pressoché tutte le aree litoranee del Mediterraneo. Appartiene alla famiglia del comune spinacio e la parentela è assai evidente quando, in primavera e inizio estate, i nuovi getti teneri e saporiti possono essere raccolti per essere cucinati, appunto, come i più classici spinaci. Possono essere sbollentati per farne un contorno di lusso oppure lasciati a crudo in misticanza. Qualsiasi piatto vogliate preparare, ça va sans dire, evitate l’aggiunta del sale.

Una pianta che parla di mare è l’Atriplex halimus o erba sale che ama ricevere addosso gli spruzzi marini e restituisce un sapore naturalmente salato. Difficile non notare questa pianta arbustiva che con le sue piccole foglie disegna cuscini grigio-azzurro su molte aree litoranee del Mediterraneo. Appartiene alla famiglia del comune spinacio e la parentela è assai evidente in primavera o nei primi periodi estivi quando i nuovi getti, particolarmente teneri e saporiti, possono essere raccolti e sbollentati per diventare un contorno o consumati a crudo in misticanza. Qualsiasi piatto vogliate preparare, ça va sans dire, evitate l’aggiunta del sale! Una pianta molto amata dagli chef è la Limbarda crithmoides, detta anche enula marina. Con le sue foglie particolarmente carnose fa parte della famiglia delle Apiacee. Ricca di oli essenziali e dal sapore molto particolare, quasi resinoso, si può mangiare cruda, perfetta se abbinata ad un buon pesce appena pescato in rada, o in un piatto esotico a base di cous cous. Chi veleggia verso Le Punte a Filicudi non potrà non notare vere e proprie colonie di enula lungo le scogliere. E poi, chi non conosce il fico di mare? Il Carpobrotus edulis è una succulenta, originaria del Sud Africa, che si è ben ambientata anche sui nostri litorali, ricoprendo a macchia dune e spiagge. I petali dei suoi fiori, di un’intensa tonalità del viola, possono dare colore a un piatto, mentre le giovani cime apicali, ricchissime di acqua, se trattate con succo di limone diventano l’elemento “croccante” di un’insalata. Rotta verso la penisola sarda del Sinis per scoprire un altro vegetale appartenente alla famiglia dello spinacio, l’Atriplex portulacoides o porcellana di mare. Il suo fogliame è sempre glauco, il gusto sempre sapido, dunque perché non farne un pesto per un buon piatto di malloreddus, magari con una spolverata di bottarga di muggine? E se volete proprio portare il mare nel piatto, dovete andare alla ricerca della Salicornia europaea, l’asparago di mare. Dal gusto fresco e salino, deve essere raccolta tra la primavera e l’inizio dell’estate. Sembrerebbe una recente scoperta degli chef, eppure il “sale dei poveri”, così la pianta veniva chiamata in passato, ha un sapore che rimanda alla cucina tradizionale. La sua carnosità la avvicina ad un vero e proprio ortaggio. Si abbina ai piatti di pesce ed è gustosa con i fagiolini. Prospera abbondante nei ristagni d’acqua salata e sarà assai semplice individuare i suoi fusti allungati, sottili e rivolti verso l’alto. Se vi trovate a navigare davanti alle coste del Gargano, non perdete la Festa del Pane e della Salicornia. Raccogliere erbe spontanee è un’attività salutare, ma dovete sempre ricordare che può rivelarsi pericolosa se non si è in grado di identificare correttamente le piante. Quindi, per evitare il rischio di intossicazioni, il mio consiglio è di affidarsi ad un esperto, almeno le prime volte. E ricordiamoci sempre di rispettare la natura, raccogliamo solo il necessario! 

(Enrico Costanza, l’ortolano stellato – Barchemagazine.com – Luglio 2022)