Pierangelo Andreani è un designer concreto ed essenziale, è un talento naturale in grado di dare la giusta forma alle cose
by Francesca Ciancio – photo by Andrea Muscatello
PIERANGELO ANDREANI È UN UOMO TRANQUILLO VOTATO ALLA VELOCITÀ, un designer di barche oggi e di auto ieri. Tutto ciò che c’è di dinamico lo ha sempre entusiasmato e in cinquant’anni di carriera ha dato forma a tantissimi sogni in movimento.

«Più si disegna, più vengono fuori i dettagli, quindi non sono legato a una sola e monolitica idea iniziale. Non lascio spazio a fantasie inutili».


Non ci sono troppi fronzoli nel suo lavoro e lo si capisce dallo studio nel centro di Sondrio, uno spazio bianco, una luce di taglio, quadri che riprendono alcuni degli schizzi realizzati negli anni, qualche modellino ben in vista. Il colore è dato dai pastelli in cera e dalle matite, ma anche dal racconto che fa della sua carriera, a tratti anche buffo, sempre schietto, senza alcun segno di auto-incensamento. Snocciola episodi che fa sembrare una pura sequenza di eventi e invece realizzi che alcune delle auto-icona del passato portano la sua firma.

Quello che è cambiato radicalmente nella sua vita professionale è l’ambiente delle sue creazioni, passando dalla strada all’acqua. Per il resto sembra che per il designer valtellinese sia stato tutto semplice. O così lo fa apparire. Indubbiamente deve averlo aiutato un gran talento. Pierangelo racconta dei ritratti fatti ai compagni di scuola e poi dei disegni dedicati alle auto, tanti, tantissimi. In più cresce in una famiglia dove il progettare e il fare sono pane quotidiano, grazie a un’impresa secolare nel campo dei rivestimenti in edilizia. Creta, calchi, intagli sono oggetti familiari. Tempo e voglia di andare all’università non ci sono. Anche se il padre spinge per architettura, Pierangelo si ferma al diploma da geometra e inizia a lavorare appena maggiorenne.
«Negli anni ’70 – ricorda il designer – se scrivevi alle aziende poteva accadere che rispondessero. Cosa impensabile oggi. A me risposero sia Pininfarina sia il Centro Studi Fiat dove rimasi per un anno e mezzo, una sorta di purgatorio per me». Andreani in effetti non ha un ricordo entusiasmante dell’esperienza torinese: «Un ambiente di raccomandati, poco meritocratico e molto burocratizzato, difficile essere creativi in un clima così». Eppure mette mano al plastico di quella che diventerà la Fiat Ritmo (“anche se i fari erano originariamente rettangolari e non tondi”), ma si trasferisce in Pininfarina al momento del lancio e quindi non ha diritto ad alcun riconoscimento.

«Mi riconosco più nella parola stilista, qualcuno che ha uno stile. Il mio è pragmatico, perché ho sempre lavorato per produzioni in serie».
Lì Andreani comincia a comprendere il suo lavoro, che è poi anche la sua ambizione, ovvero fare il designer con consapevolezza, non facendo scorrere matite colorate su voli pindarici, ma creando cose belle e funzionali, che rispondano a esigenze concrete: «Significa – specifica il progettista – conoscere a fondo i materiali e applicarli a diversi oggetti della quotidianità». In pratica, il mondo Pininfarina per Andreani è la scintilla che gli fa dire “non di sole auto è fatto il design” (ma per loro progetta una Ferrari, la Mondial 8). Ecco quindi, a metà anni ’70, il passaggio a De Tomaso, all’epoca proprietario di Moto Guzzi e Benelli. Detiene però anche Maserati e Andreani sarà il “padre” della Maserati biturbo.

Il passaggio dal mondo solido della strada a quello liquido dei mari arriva con Cranchi, uno dei primi cantieri navali a usare la vetroresina. «Mi piacque subito l’idea della serialità che questo materiale consentiva – ricorda Andreani – e scoprii che disegnare barche mi rendeva più libero, perché meno legato ai punti di progettazione obbligati delle auto».

Fare il designer con consapevolezza vuol dire non far scorrere matite colorate su voli pindarici, ma creare cose belle e funzionali, che rispondano a esigenze concrete.
Ben trent’anni di consulenza, con in mezzo esperienze per Cagiva, Yamaha, Nissan, Toyota, macchine per legno SCM e scooter SYM. «Più si disegna, più vengono fuori i dettagli – spiega il designer – quindi non sono legato a una sola e monolitica idea iniziale. Il disegno, come gesto, è fonte di ispirazione, ma rimane centrale la funzionalità di ciò che creo, non lascio spazio a fantasie inutili».
«Mi piacque l’idea della serialità che la vetroresina consentiva e scoprii che disegnare barche mi rendeva più libero. L’ergonomia dell’auto ti limita».

I progetti che segue per Bénéteau riguardano gli interni per Monte Carlo 6 e 52, la gamma Swift Trawler dal 30 al 47 e Gran Turismo dal 32 al 45. Per quanto riguarda la vela ha firmato il progetto dell’Oceanis Yacht 62.
Un concetto che deve essere piaciuto alla casa francese Bénéteau, che dal 2005 ha scelto il disegnatore lombardo per firmare diverse linee. Questa sfida tra sogno e realtà si è concretizzata con la gamma Monte Carlo dai 34 ai 50 piedi, la seconda serie Flyer, gli Swift Trawler dal 30 al 47, gli interni per gli MC ed i nuovi GT dal 32 al 45. In ultimo è arrivata anche la vela, la prima per lui, con l’Oceanis Yacht 62 (uscita nel 2017 vanta già 55 esemplari).
Con Fountaine Pajot Motor Yachts invece si dedica ai catamarani a motore per lavorare sul binomio prestazioni e comfort: «Alcuni colleghi si ritengono degli artisti, io mi riconosco più nella parola stilista, qualcuno che ha uno stile. Il mio è pragmatico, perché ho sempre lavorato per produzioni in serie. C’è sempre una base da cui partire che può essere l’ergonomia di un auto, in verità sempre piuttosto fissa, o un budget da rispettare. La fattibilità per me non è in contrasto con la creazione, anzi, la sostiene». In effetti guardando i bozzetti e i plastici di un Pierangelo ragazzino emerge questo attaccamento al reale: «Certo – dice il progettista – la curiosità è il motore di tutto, ma che senso avrebbe disegnare cose irrealizzabili?».
(Andreani Yacht Design, disegnare la libertà – Barchemagazine.com – Giugno 2021)