Alberto Mancini, la forza del design incontaminato

Velocità, bellezza, richiami al mondo dell’automotive, ma anche grande cultura del mare: Alberto Mancini e il suo AM Yacht Design team hanno un approccio allo yacht design molto libero e molto creativo. Li abbiamo incontrati nel nuovo studio a Montecarlo

di Luca Sordelli – foto Andrea Muscatello

 È l’astro nascente dello yacht design made in Italy. Giovane, ma già con un lungo curriculum con nomi importanti, come Officina Italiana Design, Nuvolari e Lenard, Ken Freivokh. È la firma di cantieri come Overmarine, Fairline, Azimut. Lo incontriamo nel suo nuovo e stilosissimo studio nel centro di Montecarlo.

Alberto Mancini è brillante nell’eloquio, disinvolto davanti alla macchina fotografica. Ma ha anche le idee molto chiare e decisamente controcorrente: lo yacht design per lui è qualcosa di molto diverso da quanto abbiamo visto fino ad ora.

alberto mancini

Overmarine 54 GS

 

Cosa le viene in mente se le dico AM Design? Qual è il vostro primo segno distintivo?
Un approccio non contaminato. La freschezza delle nostre idee. La nostra forza è quella di poter portare avanti i nostri progetti senza troppe influenze, almeno nella prima parte del processo che porterà alla creazione della barca. Certo, poi intervengono necessariamente delle richieste, bisogna prendere anche altre strade. Ma alla base c’è una impostazione dinamica, creativa, giovane.

È davvero una battaglia così dura? È difficile portare avanti la propria visione nello yacht design?
Credo che per la mia generazione di designer la situazione si sia un po’ complicata. I cantieri sono rimasti abbastanza scottati da quanto accadeva in passato, dove i progettisti potevano imporre il loro modo di pensare, anche da un brand all’altro. Ora noi siamo costantemente costretti a dimostrare che le barche che disegniamo per un cantiere sono totalmente diverse da quelle che facciamo per un altro. È molto affascinante come processo, ma richiede tantissime ore di lavoro. Ci vuole molta energia per cambiare fisionomia da un brand all’altro, pur rimanendo sempre noi stessi. Ci vogliono tante idee, tanta creatività.

Questo è un argomento molto importante, le barche, gli yacht spesso tendono ad assomigliarsi molto nel corso dei vari periodi storici. Partono delle tendenze e diventa molto difficile uscire dal flusso. Come si può riuscire secondo Alberto Mancini ad essere diversi, come si nutre la creatività?
Prima di tutto lavorando in team con altri bravi designer, i brainstorming che facciamo in studio sono alla base del nostro lavoro. Io e il mio collaboratore Lorenzo Berselli, in particolare, lavoriamo molto bene anche perché abbiamo un background comune. Arriviamo entrambi dal car design ed entrambi dallo IED di Torino, una scuola eccezionale, molto libera, dove veramente si può sviluppare la creatività, cercare il bello, mettere in gioco il tuo talento. A me e Lorenzo piace immaginare la barca in acqua e come la luce del sole rifletterà, da tutte le angolature, con lo scafo di diversi colori. Un po’ come se fosse un prototipo presentato al salone delle auto di Ginevra. Chi ha una formazione più classica, più architettonica, di certo ha un approccio molto diverso.

Il tema del confronto con il mondo dell’automotive ricorre spesso nello yacht design di oggi. Ma, guardando a quello che hanno fatto anche molti grandi nomi che arrivano da quell’ambiente i risultati non sono proprio esaltanti.
Quando io ero ragazzo andavo in barca con i miei genitori, in barca a vela. Mio padre insisteva per farmi manovrare, per farmi regolare le vele… io invece mi guardavo in giro e osservavo le altre imbarcazioni intorno a noi e mi dicevo: come fanno ad essere così brutte? Bisognerebbe cambiare tutto… E quando si è trattato di scegliere l’università e lui voleva mandarmi a Milano, alla Bocconi, io gli mostrai le decine e decine di disegni di schizzi di barche fatti sui banchi di scuola così lui cambiò idea. Tutto questo per dire che non basta essere designer, ci vogliono passione e conoscenza del mondo nautico. Bisogna saper navigare. Lo stesso vale per Lorenzo, anche lui fin da piccolo è sempre andato in barca. Spesso i car design concepiscono una carrozzeria e poi pretendono di metterla sopra una carena…

alberto mancini

Fairline F 33 by Alberto Mancini

 

Continuiamo a parlare della sua formazione. Nel curriculum di Alberto Mancini, prima di arrivare a fondare AM Yacht Design, ci sono nomi importanti.
Beh, a 22 anni ho avuto la grandissima fortuna di lavorare con Mauro Micheli all’Officina Italiana Design. Mi dava in mano la matita e mi diceva: ‘Per quando torno fammi vedere un po’ di schizzi per l’Aquariva. O magari per Aquarama. E ancora adesso quando vedo le prese d’aria, le griglie, o il cruscotto vedo alcuni dettagli a cui ho partecipato anche io, sotto la sua supervisione. A quell’età, poter essere parte attiva della progettazione di un Riva era come un sogno. Un’esperienza che ha segnato tutta la mia carriera.

Poi ci sono anche nomi come Ken Freivokh e Nuvolari Lenard.
Col primo erano i tempi del Maltese Falcon di Perini. Ricordo che all’inizio quando incontravamo i tecnici che venivano da Viareggio dicevano a me, italiano con cui avevano più confidenza: ‘È un’impresa impossibile, non ce la farete mai’. Poi l’armatore ha cominciato a mettere sul piatto un milione di euro al mese e ce l’abbiamo fatta… Con Dan Lenard c’era un rapporto speciale, mi ha insegnato molto. E poi è un vero “maestro”, non solo per quanto riguardava l’aspetto tecnico e creativo del disegno. Per esempio diceva che certi designer che viaggiano ad un metro da terra lo facevano ridere. Un giorno mi disse con la sua grande ironia:‘In fondo prendiamo gusci di plastica e li riempiamo di mobili’. Ecco, meglio non scordarselo mai.

Le collaborazioni di Alberto Mancini Yacht Design vanno da Azimut a Overmarine, passando da Fairline. Tre realtà molto diverse. Come si mettono insieme le cose? Non è facile, è un po’ come avere tre mogli. Molto, molto complicato…
Sono tre approcci molto diversi. Fairline, per esempio è un po’ più conservativo. Gli serve una consulenza di stile, nella modellazione delle forme. Ma non ti fanno entrare molto nelle loro dinamiche. Noi siamo il loro tocco esotico, il “Made in Italy”. Al di fuori dei nostri confini è un valore aggiunto importantissimo, fondamentale.

Overmarine è un po’ il vostro biglietto da visita. Azimut invece è l’ultimo arrivato. Il più grande al mondo…
Beh, per ora posso dire veramente poco di Azimut. Di certo ci si sente di colpo come ad entrare nel mondo della Formula 1. Tra i concetti base di Azimut S10 c’è quello di avere a poppa una serie di terrazze che degradano verso il mare. Qui mi sono ispirato alle ville di Malibù. E poi la possibilità di offrire all’armatore spazi aperti da gestire in più modi, su più livelli. Insomma, tutto per dare modo di vivere l’esperienza a bordo in maniera nuova.

alberto mancini

Azimut S10

 

Potendo costruire la sua barca ideale, come la farebbe?
Sono due le strade che mi vengono in mente. Diametralmente opposte. Da un lato a motore e dall’altro a vela. Qui sogno di fare un megasailer. C’è ancora molto da inventare, è un mondo più libero, i cantieri “si marcano meno stretti”, non c’è competitività estrema. E poi il piacere di navigare a vela, di stare al timone, sentire la barca, il vento è qualcosa di bellissimo, indescrivibile.

E nel mondo del motore? Cosa affascina di più Alberto Mancini?
La sportività, la velocità. Su una barca a vela ti esalti quando fai una bolina a 10 nodi, con 15 nodi di vento. Ti senti un re. Per le barche a motore il primo riferimento che mi viene in mente è Magnum. Ricordo ancora un’incredibile esperienza da Miami a Key West su un Magnum a 62 miglia all’ora di media sull’onda lunga che c’è laggiù… meraviglioso. I Magnum sono barche costruite in un modo che adesso è impossibile: tanto peso, tanta robustezza e tanti cavalli. Molto spesso odiatissime. Di un’altra epoca, ma sempre barche da veri signori. Se ripenso ai miei progetti il Barracuda 80 rappresenta al meglio questo concetto poiché prende il meglio dal mondo della vela e del motore.

C’è ancora spazio per un mondo come questo? E l’ecologia?
Io ammiro tantissimo chi veramente e sinceramente investe in quella direzione. L’elettrico è il futuro, un futuro molto lontano per le barche. Credo che si debba aspettare ancora un bel po’ in termini di crescita tecnologia. Chi ora semplicemente offre un’ora di autonomia, o la ricarica per i cellulari e poi attacca l’adesivo “green” sullo scafo, beh quelli li ammiro di meno.

Torniamo al discorso della velocità. Controcorrente in un mondo dove tutto sembra andare verso navette ed Explorer…
Anche in quel mondo si stanno vedendo cose molto belle, interessanti. Anche noi stiamo facendo qualcosa in quella direzione. Però bisogna stare attenti a non fare “box shoes”. Bisogna porre un limite alla crescita verso l’alto. Le barche costano di più all’aumentare di lunghezza e larghezza, lo spazio è il vero lusso. Allora viene naturale “salire”, e magari aggiungere stabilizzatori su stabilizzatori. In uno yacht di 24 metri, chiedere interni da 2,20 metri di altezza, e anche di più, snatura le proporzioni. Non si può pretendere di fare una barca con le altezze di un 35 metri, su uno scafo da 24: c’è qualcosa che non funziona. Ha presente la Multipla, prima serie? Pensata solo sugli interni, geniale da quel punto di vista, con tre posti davanti e tantissimo spazio, luminosa con vetro ovunque. Ma se poi la guardi da fuori? Non proprio bellissima. Se invece penso al Monokini, Baglietto disegnato da Francesco Paszkowski e da me, l’altezza in salone era 2,02 metri. Bella, elegante e vincitrice del Compasso d’Oro ADI nel 2016. Ma la velocità, comunque, tornerà di moda. Anzi è un trend che sta già prendendo sempre più piede.

A cosa si riferisce?
Penso ai foils, sia nella vela che nel motore. Ma anche alle chase boat, al fast commuting, alle barche di appoggio per super yacht. Lì gli armatori vogliono con calma fumarsi il loro sigaro. Ma poi viene anche la voglia di sfogarsi, abbassare le manette e volare via sull’acqua. Il mare appaga la voglia di andare veloce, veramente. Senza i limiti che ci sono sulla strada, senza dovere girare come criceti in circuito. Ma liberi.

 (Alberto Mancini, la forza del design incontaminato – Barchemagazine.com – Ottobre 2018)